Equiseto
di Laura Nicoli
Nome botanico: Equisetum arvensis
Famiglia: Equisetacee
Altri nomi: Coda di cavallo, coda cavallina, brusca, erba rugna, setola, setolone, codabussina, cucitolo
Provenienza: Cina e Giappone
Estrazione: dai fusti
Pianeta dominante: Luna, Saturno |
Storia
L’equiseto è l’unico discendente delle piante giganti simili alle felci che ricoprivano la terra circa 200 milioni di anni fa. Sono tra gli organismi più antichi della terra: il ritrovamento di resti fossili di alcune specie dell'ordine delle Equisetales indicano che erano piante diffuse già alla fine del Devoniano (395-345 milioni di anni fa). Dal punto di vista filogenetico sono piante più primitive delle angiosperme; infatti sono senza organi sessuali distinti, si propagano e si riproducono per mezzo di spore. Al genere Equisetum appartengono circa 20 o 30 specie (a seconda dei vari autori), delle quali una decina sono proprie della flora italiana.
L'equiseto e l'osso: il simbolo di un'antica memoria. Attraverso l'equiseto si possono intravedere manifestazioni di quei frammenti terrestri dell'antichissima era che ci riporta al nostro presente. È la testimonianza del mondo vegetale ed il richiamo al divenire umano. Il suo nome botanico è equisetum arvensis, detto anche coda cavallina o casparella, da non confondersi col "boschivo" o "maximum", meno attivo, ma più facile da trovare in commercio, perché più pesante e quindi più lucroso, una specie palustre che può essere addirittura nociva.
La forma dell'equiseto è un richiamo alla struttura ossea dell'uomo e all’energia primordiale del mondo vegetale e animale. Esso si proietta come pianta, ma non ha ancora la capacità di uscire dalla terra con il fusto, che non è, come può sembrare, una radice, ma è una specie di rizoma, che ha preceduto radice e rami. Anticamente il rizoma, centro della pianta, veniva usato per forme asmatiche, di cui si conosceva il legame con il profondo della personalità.
Questo rizoma o rizoide è "centro", che cerca forze contrapposte cielo e terra, come lo scheletro, alla ricerca di un rapporto con l'esterno per la sua espansione. Poi tende verso il cielo, aria-fuoco, cominciando la contrapposizione terra-aria, quell’elementare dualismo, inizio del tutto. In primavera, sembra quasi che il cosmo lo richiami ad una danza d'amore e gli spunta un rossastro fusto, eretto, antica testimonianza di simbolismi sessuali maschili. Analogicamente, gli antichi usavano applicare alla spina dorsale un unguento ricavato dall'equiseto in questo stadio, per ottenere energia sessuale.
La pianta ha un carico minerale altissimo, come lo scheletro. È silice, che cresce anche nel calcare. Questo dà già l'idea della capacità trasformatrice della materia organica, idea sfuggita alla teoria della fertilizzazione chimica ed alla medicina odierna. Infatti, le ceneri dell'equiseto erano usate come fertilizzanti, ma vennero poi sostituite, con minori risultati, dal calcio; inoltre, esse venivano usate anche per fare saponi medicinali.
L'equiseto conviveva con il mondo animale-vegetale, ma che vi si proiettava, mantenendo però uno stretto rapporto con il regno minerale primitivo, fatto di acqua e luce.
L'equiseto respira energie cosmiche, conducendole al centro, e richiama la "luna/acqua-luce" sulla terra. In base a questa considerazione, per fertilizzare e soprattutto per dare energia alle zone montane scarsamente soleggiate, i nostri avi lasciavano dei recipienti di acqua a “respirare le energie della luna”. Per aumentarne l'efficacia, vi veniva macerato l'equiseto; il liquido che si otteneva serviva anche per tante malattie delle piante, carenti di energia solare.
L'analogia Luna-inconscio si ritrova in un'altra antica applicazione dell'equiseto, che era quella di utilizzarlo nelle forme di inquietudine con stanchezza mentale.
La Luna, che mostra il suo legame stretto con la terra nel suo crescere, vegetativo, rinvia energie cosmiche, che l'uomo assorbe inconsciamente attraverso lo scheletro. A riprova, nella ricalcificazione umana, si ottengono ottimi risultati sia attraverso l'ingestione di polvere, sia con acqua distillata, bevuta ed applicata esternamente. Anticamente, gli animali rachitici venivano curati con dei pastoni di equiseto e piante a contenuto di zolfo.
L'equiseto sembra voglia trasmetterci antiche reminiscenze: il suo fusto siliceo-cristallino ha una parte interna, liquida, saponosa e solforosa; è come il testimone vivente di un momento cosmico di "rigenerazione-purificazione". È straordinario in questo osservare l'analogia con le ossa e il loro midollo. Dove cresce questa pianta è facile riscontrare dei terreni argillosi e umidi, che appaiono quasi una ferita della terra, e l'equiseto sembra medicarla, asciugandone "umidità. Analoga e straordinaria capacità ha nella cura delle piaghe e delle ulcere, nelle ferite interne intestinali ed esterne. Inoltre, riesce ad avere un ottimo risultato nelle forti perdite di sangue e nei polipi, come pure è utile nell'ipertrofia della prostata. Guardando l'equiseto si può intravedere un debole accenno alla foglia che verrà; l'interno del suo fusto ha dei canali che scendono fino all'ultima diramazione del rizoma; possiede quindi midollo d'aria, che rappresenta la caratteristica del suo rapporto ariaacqua e sarà quello che darà la possibilità di produrre le prime schiume che l'antichità ha usato. Uno dei più antichi saponi, infatti, era composto da polvere di equiseto ed olio. L'equiseto si differenzia da piante dello stesso periodo, che trasformano ed aggrediscono il minerale e sono succose, perché rimane snello e teso ed ha, quindi, delle forze capaci di agire dove la separazione liquida deve essere forte. Infatti, unito ad altre energie, è un formidabile medicamento delle celluliti, in cui prevale l'alterazione del ricambio idrico; ottimo anche nella cura delle alterazioni dei vasi sanguigni e della degenerazione delle arterie, dovuta a scarsa mineralizzazione e carenza di calcio.
Il divenire armonico del corpo umano può arrestarsi per eccesso o povertà delle energie cosmiche che non contribuiscono sufficientemente al nutrimento energetico dello scheletro nel suo bisogno costruttivo.
Ecco allora, le forze rigeneratrici dell'equiseto riportare a quell'equilibrio, che va visto come processo armonizzatore delle componenti liquidominerali e non solo come processo diuretico, come è inteso dall'attuale erboristeria che con tutti i suoi progressi nozionistici, pare aver ridotto l'equiseto a questa sola funzione, quando invece gli aspetti, anche clinici, del lavoro renale sono molteplici ed alcuni estremamente legati allo scheletro.
L'equiseto tradizionalmente era ritenuto "sasso che si alza al cielo" ed era utilizzato in agricoltura contro il cancro, la "ruggine" ed altre malattie delle piante coltivate e qualche volta, in associazione con la più evoluta ortica, serviva a dare più energia alle piante macerate esposte ai raggi lunari. L'equiseto è la pianta più carica di "spinte" minerali in ciò simile alle ossa del corpo umano.
Nell'evoluzione del mondo vegetale il primo momento è proprio impregnato di "minerale-terra" e questa spinta primordiale si pone in equilibrio con una sorta di "trazione" che il mondo "vegetale-astrale" esercita costantemente. In pratica è come se esistessero due forze apparentemente contrapposte: una minerale, legata alla terra, e una aerea, legata all'energia cosmica che sembra attrarre la pianta verso il cielo. Il risultato dell'intervento di questa seconda forza può essere ben rappresentato dalle foglie e dai fiori che hanno perso il loro contenuto minerale. Ciò può essere visto in sorprendente analogia con gli organi "evoluti" del corpo umano altrettanto poveri di componente "minerale-terra" e in questa visione appare oltremodo suggestiva l'immagine degli organi e degli apparati del corpo umano come foglie, fiori e frutti dell'osso. Di questa eterna contrapposizione di forze sono altrimenti espressione anche i sassi, le "ossa della terra" dei nostri contadini, i quali li accatastavano e ne facevano muretti che servivano a riflettere le energie solari e lunari sulle coltivazioni. Ma quando una di queste due spinte o attrazioni (come poli contrapposti di una sola unità) non segue l'armonia evolutiva, nascono alterazioni e malattie. Se la spinta minerale-ossea è eccessiva, si avranno ossa fragili (poiché poco elastiche), compatte, eburnee come si possono osservare nelle osteosclerosi, ecc. Quando invece la forza di attrazione astrale-vegetale ha il sopravvento, questa tenderà a dissolvere l'osso riportandolo all'inizio della sua formazione: polvere. Questa involuzione si annuncia con disturbi osteoporotici. Le due diverse spinte si avvalgono della “mediazione" dei reni e della tiroide (paratiroide) che con il loro metabolismo sono coinvolti nei delicati momenti evolutivi. Questo ricambio necessita di quell'energia primordiale che l’equiseto possiede, anche perché, a differenza di piante più evolute, non ha dovuto consumare energie per la formazione dei fiori: il suo rizoma è ancora oggi di difficile eliminazione.
Ecco, quindi, l’equiseto secondo le diverse necessità diuretiche associato a piante come la gramigna, regina dei prati, tormentilla, iberico o ginestra. Permeando la struttura ossea e riconducendola all’equilibrio col corpo, l’equiseto aumenta quelle secrezioni che portano fuori i cloruri di calcio eliminando, quindi, quella “polvere d’ossa” che potrebbe disturbare gli altri organi e, d’altra parte, l’energia rimineralizzante dell’equiseto si manifesta attraverso la sua capacità di cicatrizzare le ferite senza uccidere le deboli cellule in formazione (come avviene invece per i “disinfettanti”). Perché l’osso è legato, sia per la sua formazione che per la sua nutrizione, a quella “astrazione astrale” rappresentata anche dal processo sanguigno di tutto il corpo. Nei casi di anemia, infatti, i vecchi mangiano germogli di equiseto.
Tornando al concetto di quelle due spinte che sono la minerale e l'attrazione astrale, notiamo che il loro squilibrio coinvolge anche il “metabolismo alto” e allora sarà interessato il capo che tra l'altro con il suo grande “carico d'osso”; rappresenta la parte più minerale del nostro corpo. Quando la spinta minerale diventa eccessiva, essa, per le ragioni sopra esposte, si distribuirà anche in altri tessuti. In particolare nell'arteriosclerosi si ha la formazione di placche calcifiche endovasali che sembrano rendere ossea la struttura dei vasi. In questo senso l'arteriosclerosi, e in particolare la sclerosi dei vasi cerebrali, sembra mimare il sopravvento della terra e l'attenuarsi della componente luminosa del campo cioè della coscienza (come si restringe il "lume" delle arterie si assiste anche alla perdita del "lume della ragione").
La medicina celtico-contadina usava l'equiseto anche per le forme di degenerazione ghiandolare. Alcuni studiosi americani hanno rilevato che esso sarebbe dotato di un'azione ritardante l'accrescimento dei tumori maligni. Oggi si annaspa, con grande dispendio di risorse, nella chemioterapia, ignorando o trascurando volutamente le possibilità di sperimentazione col naturale. Ma ciò è inevitabile poiché l'odierna medicina trascura il mondo delle forme.
Nelle comunità contadine il letame era parte integrante del lavoro quotidiano ed era chiamato "rhuu". Questo termine significava concime organico in fermentazione che fertilizzava i campi. Già la vibrazione gutturale dà l'idea di vita e i vecchi "portatori di conoscenza" lo usavano per quell'alchimia elementare delle distillazioni o trasmutazioni. Il rhuu, fermentando, produce calore poco al di sopra della temperatura corporea, inferiore certo a quello usato nelle pastorizzazioni, che mortifica il vivente. Ma al di sopra di questa capacità riscaldante, la "conoscenza" contadina intuiva quella sottile energia, vero essere trasmutante che, come il linguaggio, era trasmissione di energia-vita. Se infatti pronunciamo questa parola recependola nel suo significato profondo, capiremo il suo agire rituale che richiama il centro, seme-laringe-pineale. Da questo "interno" viene la voce e dell’interno delle piante viene il profumo.
Descrizione
Il rizoma strisciante della pianta emette fusti cavi e nodosi, simili a quelli del bambù, praticamente privi di foglie, che raggiungono l’altezza di 180 cm. Alla sommità del fusto si sviluppa una formazione sporifera che ricorda la coda di cavallo o una spazzola per bottiglie.
Questa pianta, che cresce nelle zone acquitrinose, è in grado di assorbire l’oro sciolto nell’acqua. Per tale ragione essa presenta grande interesse per l’erborista, in quanto i medici prescrivono spesso preparati contenenti oro per l’artrite reumatoide. Non è un caso che la pianta possegga una lunga tradizione come rimedio per i dolori artritici.
Secoli prima che la presenza dell’oro nell’equiseto fosse individuata, gli antichi ne riconobbero il valore come abrasivo. Nel corso dei secoli, l’equiseto fu usato per strofinare le pentole, lucidare il peltro e sabbiare o piallare il legno.
Nell’antica Roma, i germogli di equiseto venivano consumati come alimento durante le pestilenze, ma benché ricordino l’asparago non ne possiedono né il sapore, né il valore nutritivo (guide tascabili raccomandano ancora i germogli duri e fibrosi come foraggio per il pascolo).
I medici dell’antica Cina usavano questa erba per trattare ferite, emorragie, artrite e dissenteria.
Il medico romano Galeno sosteneva che la coda cavallina era in grado di guarire strappi di tendini e legamenti e di favorire l’arresto delle emorragie nasali. Col passare dei secoli, l’erba si conquistò la fama di vulneraria.
Col tempo, la fama di vulnerario dell’equiseto si estese sempre di più ed ad essa si aggiunse quella di trattamento per la ritenzione idrica e di rimedio urinario. Veniva usato per trattare orinazione dolorosa, gonorrea, infezioni renali, infezioni dell’apparato urinario e idrope (infezione cardiaca congestizia).
Gli omeopati prescrivono microdosi di equiseto per problemi urinari: infezioni vescicali, nicturia, incontinenza e uretrite. Gli erboristi contemporanei lo raccomandano esternamente come cicatrizzante ed internamente per problemi urinari e prostatici.
L’equiseto assorbe l’oro disciolto nell’acqua meglio di ogni altra pianta. Naturalmente, la quantità di oro presente in una tazzina di infuso di equiseto è assai modesta, ma proprio in piccole quantità l’oro viene usato per trattare l’artrite reumatoide, come già fecero i cinesi, prima di includere l’equiseto nel piano terapeutico dell’artrite reumatoide, è bene discuterne col medico curante.
Proprietà
L’equiseto contiene un costituente dotato di una blanda azione diuretica, e ciò conferma il suo tradizionale impiego come stimolante urinario.
Per trattare la ritenzione idrica o l’artrite reumatoide (sotto controllo medico), si usino gli infusi o la tintura. Per preparare un infuso, usare 1-2 cucchiaini da tè di erba secca per una tazza di acqua bollente, lasciando in infusione per 10 minuti. La dose massima è di 2 tazze al giorno. L’equiseto è quasi insapore. Usando la tintura, limitare le dosi a ½, 1 cucchiaino da tè fino a due volte al giorno. In Italia, l’equiseto è comunemente usato come polvere oppure come sospensione di pianta fresca (alla dose di 10 ml al mattino in un bicchiere d’acqua).
L’equiseto ha un contenuto relativamente elevato di selenio. Quantità eccessive di selenio possono causare difetti congeniti.
Nelle zone paludose situate a valle di aree agricole fortemente fertilizzate, l’equiseto potrebbe contenere tassi pericolosamente alti di selenio. Le donne gravide dovrebbero quindi evitarne l’uso.
L’equiseto contiene un costituente che in dosi elevate produce effetti tossici sul sistema nervoso. Animali foraggiati con questa erba hanno manifestato febbre, perdita di peso, debolezza muscolare e anomalie del battito cardiaco. Sono inoltre stati riferiti casi di morte negli animali. Sono state riportate reazioni non letali in bambini che avevano usato i fusti come cerbottane, in seguito all’ingestione del succo. È bene impedire che i bambini giochino con questa pianta.
Cucina
In passato, presso le famiglie contadine, i germogli di alcune specie del genere venivano occasionalmente impanati e fritti o conditi con aceto. L'equiseto può essere aggiunto a zuppe o minestroni come integratore di sali minerali.
Ma si deve fare attenzione alle varie specie in quanto alcune non sono eduli. Inoltre secondo alcuni testi queste piante se ingerite in grandi quantità possono presentare una certa tossicità in quanto contengono l'enzima thiaminase che assorbe il complesso vitaminico B.
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