LA ROTTA DI ULISSE

 


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Introduzione alla Naturopatia

di Laura Nicoli

Uccidendo una preda l’uomo primitivo vide la vita dell’animale fuggire attraverso il sangue delle ferite e dovette essere immediata l’identificazione della vita col sangue stesso. Il rosso divenne, così, un colore magico, dotato di poteri misteriosi e l’uomo cercò in natura qualcosa di simile: l’ocra rossa. Con questa polvere dal colore sanguigno si dipinse il corpo e cosparse i cadaveri dei propri cari deponendoli talvolta su uno strato di polvere rossa, forse nel patetico tentativo di cancellare il pallore della morte e ridare la vita. L’idea di restituire la vita ai defunti per mezzo di coloranti rossi è presente in molti culti di età successive al Paleolitico e persino presso gli Etruschi ed i Romani troviamo sarcofagi con l’interno dipinto di rosso. L’ocra fu anche usata per “riparare” una ferita mortale alla mascella di un giovane cacciatore del Paleolitico sepolto nella grotta delle Arene Candide, in Liguria.
La capacità dell’uomo preistorico di intervenire con successo su ferite anche gravi è dimostrata da una scoperta fatta nella grotta di Shanidar, sui monti dell’Iraq settentrionale, dove fu rinvenuto lo scheletro di un uomo del tipo Neanderthal con l’avambraccio destro amputato. La ferita si era rimarginata e l’uomo era sopravvissuto; ciò lascia immaginare che i suoi compagni (o lui stesso) furono in grado di arrestare l’emorragia e curare i tessuti tranciati.
Che l’uomo antico avesse una farmacopea ben fornita, così come l'hanno le popolazioni primitive attuali, è ormai un concetto accettato dal mondo scientifico che in questi anni ha intensificato le ricerche in questo settore.
Nella farmacopea delle antiche civiltà mesopotamiche troviamo numerose sostanze le cui capacità terapeutiche erano state perfettamente capite e razionalmente sfruttate: zolfo per curare la scabbia; cannabis per nevralgie e depressioni psichiche; senape come stimolante; belladonna per calmare lo spasmo della vescica, per frenare l’eccessiva salivazione, nei casi d’asma e nella dismenorrea.

Questo bassorilievo su pietra calcarea proveniente da Tell el Amarna e risalente al 1360 circa a. C. si trova attualmente al Museo del Cairo. Vi si vede Akhenaton seduto di fronte a Nefertiti che offre la propria figlia ai raggi di vita dispensati da Aton. Questo è il dio del Sole che il faraone ha innalzato al rango di divinità suprema d’Egitto al posto di Amon. Come testimonia questa scena, gli antichi Egizi riconoscevano al Sole, all’azione benefica dei suoi raggi, carattere di forza vitale preminente, sino a divinizzare l’astro ed a porlo al vertice della gerarchia di dei e dee.

Ma è nell’antico Egitto che la lista delle sostanze usate è addirittura imponente e l’attualità di alcuni farmaci indiscutibile. Qualche esempio: olio di ricino e scialappa come purganti; sali di ferro, piombo e antimonio per le malattie degli occhi; tannino come astringente; trementina contro i vermi intestinali. Grande attenzione veniva attribuita dagli egiziani all’igiene: lavarsi il corpo e in particolare la faccia, la bocca e i denti ogni mattina; le mani prima di ogni pasto; capelli e unghie in ordine e vesti sempre pulite. Per lavarsi e fare il bucato usavano, insieme all’acqua, incensi e salnitri che avevano il potere di disinfettare e disinfestare.
Nelle Americhe troviamo altre testimonianze che possono farci intravedere come si comportava l’uomo preistorico davanti ad una ferita. Gli indiani del Nordamerica arrestavano le emorragie mediante cauterizzazione e coprivano le lesioni con piccole piume d’aquila e con polvere raschiata dalle pelli appena conciate. Nei casi di ferite vaste, i lembi venivano avvicinati e cuciti con fili di tendini e aghi d'osso. Essi usavano salsapariglia e ginepro come diuretici; cascara, scialappa e podofillina come purganti; infuso di caprifoglio (potente stimolatore del vomito) come emetico; decotto di corteccia di salice (contenente appunto acido salicilico che è il principale componente dell’Aspirina) per combattere gli stati febbrili.
La storia della medicina antica offre spesso informazioni contraddittorie che certo non aiutano a capire esattamente il grado di conoscenza raggiunto dai popoli antichi nell'arte medica. Un caso tipico è rappresentato dalla medicina mesopotamica che fino a non molti anni fa era ritenuta quasi inesistente o quanto meno troppo legata alla magia e alla religione per poter essere considerata vera medicina.
L’esigenza di un’attenta osservazione dei sintomi per l’identificazione della divinità responsabile della malattia contribuì sicuramente allo sviluppo della medicina vera e propria e già nel VI secolo avanti Cristo troviamo documenti medici che niente hanno a che vedere con la magia e stupiscono per la loro modernità.
Una formula egizia per realizzare il dentifricio, risalente al IV secolo d. C., è stata individuata in una collezione di papiri della Biblioteca Nazionale di Vienna. Gli ingredienti della ricetta sono: una dracma (pari a ca. 0.28 gr) di sale, due dracme di menta, 20 grani di pepe ed una dracma di fiori di iris secchi, la cui azione contro i disturbi gengivali è da tempo conosciuta.
Plinio, il naturalista vissuto nel I secolo d. C., affermava che il segreto della vitalità e pienezza fisica dei Romani, popolo di dominatori, stava nel solarium posto sui tetti delle case, dove essi facevano frequenti bagni solari, e di aria.
Tutti gli interventi curativi utilizzati dall’uomo, ovunque si trovi, si ispirano sempre ad insiemi di metodi e conoscenze le cui radici affondano nelle tradizioni proprie della sua cultura di appartenenza. Presso le popolazioni nomadi, ciascuno è medico di se stesso e non esiste un ruolo certificato di terapeuta: la conoscenza dei rimedi è patrimonio comune, spesso custodito dagli anziani che curano familiari ed amici.
Nella società attuale, non solo è più netta la separazione tra chi è deputato a curare, ma è nata una vera e propria industria della salute che sottrae all’individuo la stessa conoscenza del proprio corpo.

La salute coincide con uno stato di equilibrio interno all’individuo. È un equilibrio spontaneo. La malattia è un’alterazione qualitativa dell’equilibrio che può essere osservata ma non misurata.
Il benessere coincide con la nostra capacità di orientarci al presente e di sostare in esso. Il nostro corpo è sempre qui in un eterno presente, con la mente possiamo orientarci al passato (depressione) o al futuro (ansia).
Malattia e salute sono concetti al singolare in quanto si riferiscono ad uno stato dell’uomo e non, come oggi si usa dire, ad organi o parti del corpo. Il corpo non è mai malato o sano, perché in lui si esprimono semplicemente le informazioni della coscienza. Il corpo non fa niente di sua propria iniziativa. Il corpo di un uomo vivo deve la sua funzionalità proprio a quelle due istanze immateriali che noi generalmente chiamiamo coscienza e vita.
La coscienza rappresenta l’informazione che si manifesta nel corpo e viene resa in questo modo visibile. Poiché la coscienza costituisce una qualità non materiale, autonoma, non è naturalmente un prodotto del corpo e non dipende dalla sua esistenza.
Qualunque cosa avvenga nel corpo di un essere vivente, è espressione di un’informazione corrispondente, ovvero condensazione di un’immagine corrispondente, di un’idea. Quando il polso e il cuore seguono un determinato ritmo, la temperatura corporea mantiene un certo calore, le ghiandole secernono ormoni o vengono formati antigeni, queste funzioni non prendono certo le mosse dalla materia, ma dipendono tutte da una corrispondente informazione, che a sua volta muove dalla coscienza.
Quando le varie funzioni del corpo interagiscono in un determinato modo, si crea un modello che noi sentiamo armonico e che perciò chiamiamo salute. Se una funzione esce dai binari, mette più o meno in pericolo tutta l’armonia e noi parliamo allora di malattia. Malattia allora significa sparizione dell’armonia o la messa in discussione di un ordine che fino a questo momento era stato in equilibrio. Il turbamento dell’armonia avviene però nella coscienza sul piano dell’informazione e si limita a mostrarsi nel corpo.
Il corpo è, quindi, il piano di espressione e realizzazione della coscienza e, quindi, anche di tutti i processi ed i mutamenti che avvengono nella coscienza. I sintomi sono tanti, però sono tutti espressione del medesimo evento, quello che noi chiamiamo malattia e che si verifica sempre nella coscienza di una persona. Se nel corpo di una persona si manifesta un sintomo, questa attira più o meno l’attenzione su di sé. Un sintomo esige da noi osservazione, che lo vogliamo o no. Questa interruzione che sembra venire dall’esterno noi la percepiamo come un disturbo ed in genere abbiamo soltanto uno scopo: far sparire al più presto ciò che disturba (il disturbo). L’uomo non vuole avere disturbi ed in questo modo comincia la lotta contro il sintomo. Anche la lotta significa attenzione e dedizione e così il sintomo riesce a far sì che ci occupiamo di lui.
Il sintomo ci dice quello che noi sappiamo già, ma che reprimiamo o non possiamo vivere e lo fa a livello fisiologico perché il nostro mondo esteriore è materia. È una forza che noi continuiamo a mandare giù ed è una forza distruttiva perché vuole rompere con quello schema che ci impedisce di tirare fuori le cose.
La natura è fonte e maestra di vita.
Come sempre, ognuno di noi è rappresentato in natura dalla sua pianta ed ha bisogno di quel rimedio. Allora il preparato fitoterapeutico funziona in profondità e rinforza la nostra energia risanatrice.
Da tempi antichissimi è risaputo che il Sole è fonte di salute e forse l’adorazione del Sole nelle religioni primitive era la manifestazione concreta di una verità riconosciuta a livello subconscio. I bagni di sole risalgono all’antichità. Il piacere di crogiolarsi al sole è innato in tutte le creature viventi.
Il Sole è il comun denominatore e regge ogni manifestazione visibile: lo raccontano da sempre i miti ed i riti di molte tradizioni del passato. Ma è utile vedere come questa lettura simbolica abbia un puntuale riscontro biologico. Le piante, gli animali, l’uomo sono una scintilla di sole che vive e si riproduce… L’energia luminosa infatti entra nella pianta e attraverso le catene alimentari transita da una forma vivente all’altra.
Le piante conservano per tutta la vita la capacità di “intuire” la presenza del sole. In ogni prodotto della natura è incisa, indelebile, l’impronta delle forze cosmiche che hanno concorso alla sua formazione: aria, acqua, terra e fuoco: le stesse che operano nel nostro organismo, con gli stessi meccanismi di azione.

Secondo la tradizione, l’uomo era inseparabile dal cielo, dalle stagioni, dai solstizi… Ogni parte collettiva riassumeva il tentativo di riconciliarsi al momento cosmico che il cielo rappresentava.
Il divenire armonico del corpo umano può arrestarsi per eccesso o povertà delle energie cosmiche che contribuiscono sufficientemente al nutrimento energetico dello scheletro nel suo bisogno costruttivo. È come se esistessero due forze apparentemente contrapposte: una minerale, legata alla terra, e una aerea, legata all’energia cosmica che sembra attrarre la pianta quando una di queste due spinte o attrazioni non segue l’armonia evolutiva. Nascono, allora, alterazioni e malattie.
Per tornare alla natura, bisogna dapprima imparare a leggere il suo insegnamento e la forma di questo insegnamento è simbolica. La Natura è la forma simbolica di ciò che è fuori dalla Natura.
Il Cosmo è simboleggiato da un albero; la fecondità, l’opulenza, la fioritura, la salute o, a uno stadio più elevato, l’immortalità, la giovinezza eterna sono concentrate nelle erbe e negli alberi. In breve, tutto quello che “è”, è “vivente e creatore” in uno stato di continua rigenerazione, si formula per simboli vegetali. La primavera è una resurrezione della vita universale e di conseguenza della vita umana. Con quest’atto cosmico tutte le forze di creazione ritrovano il loro vigore iniziale; la vita è integralmente ricostituita, «tutto ricomincia di nuovo», in breve, si ripete l’atto primordiale della creazione cosmica, perché ogni rigenerazione è una nuova nascita, un ritorno a quel tempo mitico in cui apparve per la prima volta la forma che si rigenera. (Mircea Eliade).
È il momento in cui il sole esprime il massimo della sua potenza creativa; come catturarla per dare nuovo slancio alla nostra forza vitale è un dovere verso se stessi: prendersi cura di se stessi. Il tempo a disposizione scarseggia ed allora bisogna integrare ed il mercato snocciola rimedi per ogni possibile ed immaginabile carenza: vitamine, minerali, ricostituenti…
Ma c’è un’altra strada, diversa, nuova e insieme antica, che conduce al vero benessere, che ci insegna a catturare l’energia dell’intero universo attraverso la pelle, il respiro ed il cibo assecondando il ciclico incedere delle stagioni e rispettando le autentiche esigenze del corpo con l’aiuto di un unico farmaco: il sole.
Una meridiana portatile ad elevazione costruita a Parigi da Butterfield, probabilmente alla fine del XVIII secoloOgni pianta va assunta al momento giusto, ogni tisana ha effetti diversi se presa all’alba o al tramonto, in primavera o al tramonto. I profumi, le essenze, i bagni possono diventare i principi di un’arte magistrale, se assunti al momento giusto. Vi sono degli accorgimenti che ci possono restituire l’energia che la vita moderna ci sottrae ogni giorno. Ritrovare l’intelligenza della natura equivale a riscoprire le forze che ci abitano da sempre e che sono il nostro patrimonio più antico e prezioso.
Ogni momento dell’anno, giorno, ora, secondo l’intensità dell’irraggiamento ricevuta, racchiude potenzialità terapeutiche uniche, genera un flusso di energia che penetra tutte le forme viventi, dalla roccia all’uomo ed induce piante, frutti e ortaggi a maturare in un tempo stabilito perché veicolino, dentro ciascuno di noi, la “forza” dell’universo, in questo preciso frammento dell’anno: in inverno, l’impulso al raccoglimento, in primavera, quello al rinnovamento, alla rinascita e ci aiutino a sostenere gli organi particolarmente vulnerabili.
Il profumo delle erbe è una medicina antica nata, nella notte dei tempi, da una pioggia di pulviscolo stellare fiammeggiante. Molto prima che l’uomo si avventurasse nei boschi alla ricerca di cibo e acqua. I dottori greci consigliavano le mamme di portare i bambini gracili a giocare sotto le fronde di arbusti generosi come l’alloro, perché il loro fisico si irrobustisse. E gli antichi testi della Schola Medica Salernitana recitavano secoli e secoli or sono: «Accarezzare un’erba fiorita induce sul corpo i medesimi effetti di un farmaco ricostituente».
L’aroma è il modo di essere e manifestarsi della pianta: discreto ed avvolgente insieme. Solo alcune amano parlare sottovoce; altre si fanno sentire emettendo impercettibili fruscii o catapultando crepitanti baccelli. Forse proprio per questo i loro effetti sono ancora più intensi e profondo. Vivere con le piante significa entrare nel cerchio incantato delle loro forze vitali e respirare il loro respiro.
La nostra energia vitale è collegata incessantemente alle stagioni e, come tale, non è qualcosa di statico, di fisso, di immutabile. L’errore che facciamo è di credere che alimentarsi nello stesso modo d’estate o di inverno non cambi le cose.
Prima di curare con le erbe, bisogna prima entrare in sintonia con loro. Possiedono funzioni che sono sempre le stesse, sono funzioni simbolico-analogiche. Ippocrate è superato, ma la scuola ippocratica è ancora attuale perché aveva ben presente le fondamenta della natura. Ci si riferisce sempre ai 4 elementi, all’analogia tra elementi chimici ed elementi naturali.
Esiste un filo logico. Non è solo un utilizzo delle erbe per le malattie, ma anche per la prevenzione seguendo la stagionalità. I Cinesi e gli Indiani sono stati i primi a scrivere le ricette tramandate dagli sciamani. In Italia, i conventi erano i luoghi più sicuri per curare e reperire le medicine. Noi abbiamo, da millenni, la memoria storica delle piante e della loro cura e, quindi, le conosciamo. È necessario conoscere i propri punti deboli per mantenere un equilibrio.
L’utilizzo delle erbe a scopo terapeutico rappresenta il più antico tipo di medicina. Usando le piante come medicinali per curarci e mantenerci in buona salute, noi riconosciamo il posto che occupiamo e la nostra relazione di interscambio all’interno del mondo naturale. In tal modo, mettiamo nelle nostre mani la responsabilità della nostra salute e del nostro benessere e questo ci porta a sviluppare l’autocoscienza e ci induce alla meravigliosa abitudine ad “ascoltare” il nostro corpo.
Le piante sono sempre state le più strette amiche dell’uomo e seppur siamo tentati di dare per scontata la vita vegetale, eppure essa rappresenta la nostra maggiore fonte di cibo, di riparo, di fibre per il vestiario e di combustibile. Le piante, letteralmente “catturano” dall’aria e dal sole l’energia necessaria a costruire le loro complesse molecole a partire dai minerali disciolti nel terreno, dall’ossigeno e dal carbonio, che noi utilizziamo come sostanze nutritive per ottenere nuovamente energia.
Gli esseri umani si sono sempre avvalsi delle straordinarie possibilità offerte dalle piante come alimento e medicina. L’osservazione delle caratteristiche di una pianta, la successiva formulazione di ipotesi sulle sue proprietà per poi provarla e sperimentarne gli effetti, ha affinato le nostre competenze sul mondo vegetale. È importante conoscere la pianta non come un aggregato di principi attivi, ma come un essere che prolunga la sua vita dentro di noi. Conoscere il carattere di una pianta è importante perché solo così possiamo scoprire affinità o divergenze col nostro carattere e la nostra personalità. Per fare questo dobbiamo essere consapevoli di tutte le caratteristiche che la contraddistinguono nel mondo vegetale.
Per alimentarsi correttamente è sufficiente rispettare le reali esigenze del corpo ed assecondare il ciclico scorrere delle stagioni. Ogni vegetale, frutto, ortaggio ha il proprio naturale periodo di maturazione che, se non verrà stimolato (coltura forzata), veicolerà dentro di noi le energie dell’universo. In primavera la spinta al rinnovamento e alla rinascita, in inverno l’impulso al raccoglimento, al riposo ed alla passività. Secondo le più antiche medicine, come quella cinese, a ogni stagione corrisponde un colore, un movimento dell’energia e un sapore capace di nutrire e tonificare gli organi.
Piante e alberi sono stati adorati e rispettati in tutta l’Europa occidentale, tra gli Slavi ed i Lituani, tra gli antichi Greci e gli Italici, tra i Germani ed i Celti.
Rosmarino, salvia, camomilla, menta e le altre erbe medicinali: nella nostra vita quotidiana le incrociamo spesso, ma abbiamo dimenticato che nel loro cuore si nascondono dei principi curativi essenziali. Lo sapevano bene gli antichi che passavano molto tempo a curarsi proprio con le essenze procurate da queste erbe, prevenendo e curando le malattie.
Una profonda conoscenza del mondo delle essenze può aiutare a prevenire e neutralizzare il logorio della vita quotidiana e a combattere lo stress, il grande nemico del nostro equilibrio energetico, che si accumula dentro di noi senza che ce ne accorgiamo.
Gli odori ed i profumi scavalcano tutte le barriere razionali e visive mirando alla nostra parte più intima ed alle emozioni. Vanno dal naso al cervello.

nettuno_nl@libero.it

21/04/2008


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