LA ROTTA DI ULISSE

 


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Novembre

di Laura Nicoli

Dal latino “november”, undicesimo mese dell’anno del calendario giuliano e gregoriano. Nel calendario di Romolo era il nono e da qui il nome di novembre che gli rimase anche dopo l’aggiunta di gennaio e febbraio. Il mese di novembre corrisponde al mese ateniese “nemacterion” durante il quale si celebravano le feste in onore di Zeus, protettore dell’agricoltura.
In Egitto era il nome di Athyr, consacrato alle feste commemoranti il lutto di Iside per la morte di Osiride. A Roma era il mese consacrato a Nettuno ed in suo onore venivano celebrate feste.
Mese difficile ma anche magico, novembre si segnala per feste e riti che celebrano il trionfo della vita sulla morte. Tra tutti i mesi dell’anno novembre non presenta particolari attrattive: il freddo si fa pungente, piove spesso e l’umidità entra nelle ossa, la nebbia avvolge il paesaggio rendendone indistinti i contorni. Per di più, il mese si apre con la festa dei morti, dopo un Ognissanti assai poco sentito… Eppure questo mese così deprimente ha rivestito per secoli un’importanza particolare, dovuta alla sua centralità nella vita delle comunità agricole, grazie al vino nuovo, alle castagne che maturano in questo periodo e soprattutto alla semina. A novembre tutto ricomincia, il mese dei morti era in realtà il mese del rinnovamento della vita. La semina corrisponde ad una sepoltura e la morte ha in sé una nuova vita o, inversamente, una nuova vita passa attraverso la morte. Sepolto sotto le zolle, il seme inizia il primo passo sul lungo cammino che lo porterà all’esplosione primaverile. La sopravvivenza è assicurata dall’aggressività (Marte), da una volontà vitale pronta ad inserirsi nelle situazioni più impensate (Plutone), da un lucido istinto di autodifesa che esclude l’affettività pura, da un disprezzo per le tradizioni e gli agi che consentono un vero e proprio trapasso a condizioni di vita estremamente dure. I primi freddi soffocano l’ultimo, estremo respiro della terra. Il mondo delle forme, dopo l’inesauribile proliferazione estiva, si ritira “dentro” le quinte, tra le zolle umide e fredde. Gli alberi, spogli, coi loro rami allungati, non sono altro che ombre, scheletri e nel ventre della terra si intensifica il paziente lavoro di decomposizione dei minuscoli micro-organismi. I resti dei frutti tardivi, i semi portati dal vento, le foglie secche, sparsi sul terreno e travolti dalla furia della pioggia interagiscono tra di loro, bollendo ed evaporando. Siamo ormai alla trasformazione finale, l’ultimo fremito di vita, prima della “notte” del cosmo.
Se ottobre chiude la stagione agraria, novembre riapre il ciclo, il sole devia i suoi raggi per permettere al grano appena seminato di riposare nella terra. Il seme, gravido di energia solare accumulata durante i mesi estivi, “scende negli inferi”, muore e putrefà lentamente per rinascere a primavera. Per questo, le popolazioni ad economia agricola dell’area celtica celebravano il loro capodanno nel primo giorno di novembre. La notte del 31 ottobre si festeggiava tra canti e libagioni fino all’alba la morte del vecchio anno nei cimiteri, perché in quel momento magico tra morte e rinascita i defunti potessero tornare tra i loro cari sulla terra. Novembre non è soltanto il mese delle nebbie, del freddo e dell’umido. Anche se il buio prende il sopravvento sulla luce, in questo periodo si ha sul piano energetico quella svolta che permette a tutto l’universo di compiere il mutamento forse più decisivo dell’anno. Per questo i Celti celebravano il capodanno all’inizio di novembre perché pensavano che la Natura fosse all’apice della mutazione e del rinnovamento dei dodici mesi. È il mese delle profondità, delle energie più antiche del corpo. È il mese dell’energia sessuale maschile e gli organi genitali appartengono alle forze primordiali del corpo e come tali bisogna rinforzarli con le sostanze adatte.
La vita nasce dal seme che feconda e, dal regno vegetale a quello animale, l’impulso a procreare è un istinto insopprimibile che accanitamente supera ogni sorta di difficoltà ed ostacoli. Plutone rappresenta questo seme è la forza che lo guida. Se Marte rappresenta il membro virile, Plutone rappresenta i testicoli, ricettacolo del seme, riserva di possibilità fecondatrici della natura e del singolo e, per estensione, la capacità di realizzare, di concretare positivamente le risorse di creatività che ognuno ha in sé. Plutone opera a livello profondo poco appariscente, è signore di quella soddisfazione od insoddisfazione di sé che sta alla base dell’equilibrio individuale. È un principio vitale alla ricerca di una forma. Risulta provato che il pianeta corrisponde al petrolio ed in generale a tutti i liquidi sotterranei, compresi i liquami che scorrono nelle cloache. La radice di questi simboli si trova nella funzione stagionale di seminagione corrispondente allo Scorpione. Da questo mettere sotto terra il seme deriva la tendenza a nascondere e ad occultare suggerita da Plutone. Infatti, Plutone non contesta la verità, ma la occulta o la manovra dietro le quinte. Plutone in Scorpione non è protagonistico, in quanto tende ad occultare se stesso nascondendo la propria faccia, come invece vorrebbe il suo opposto Toro.
Plutone è un pianeta nano orbitante nelle regioni periferiche del sistema solare, con un'orbita eccentrica a cavallo dell'orbita di Nettuno; fu scoperto nel 1930 da Clyde Tombaugh e inizialmente classificato come il nono pianeta. Il nuovo corpo celeste venne battezzato in onore di Plutone, divinità romana dell'Oltretomba; le prime lettere del nome, PL, sono anche le iniziali dell'eminente astronomo Percival Lowell, che per primo ne postulò l'esistenza. Precedentemente considerato un pianeta vero e proprio, il 24 agosto 2006 Plutone è stato declassato a pianeta nano dall'Unione Astronomica Internazionale, ricevendo il nome di 134340 Pluto. In virtù dei suoi parametri orbitali, Plutone è anche considerato un classico esempio di oggetto trans-nettuniano. Plutone è stato assunto quale elemento di riferimento della classe dei pianeti nani trans-nettuniani, denominati ufficialmente plutoidi dalla Unione Astronomica Internazionale.
Si sospettava da tempo l'esistenza di un pianeta esterno rispetto a quelli già noti, a causa del fatto che Urano e Nettuno sembravano muoversi in modo diverso dal previsto, come se fossero perturbati dall'attrazione gravitazionale di un altro oggetto. Plutone fu trovato quasi esattamente nella posizione prevista dai calcoli teorici, per cui inizialmente si credette di aver trovato il corpo perturbatore. Col passare degli anni le misurazioni rivelarono tuttavia che Plutone era di gran lunga troppo piccolo per spiegare le perturbazioni osservate, e si pensò quindi che non si potesse trattare dell'ultimo pianeta del sistema solare. Partì quindi la caccia al decimo pianeta, il cosiddetto pianeta X - un gioco di parole basato sul fatto che la X è il numero romano per 10 ed è anche il simbolo dell'incognito. La scoperta di Plutone fu in definitiva casuale, trovandosi il pianeta al posto giusto nel momento giusto mentre si dava la caccia a qualcos'altro.
Plutone possiede un'orbita molto eccentrica e notevolmente inclinata rispetto all'eclittica, e in un breve periodo della sua rivoluzione si trova più vicino al Sole di Nettuno. Tuttavia i due oggetti orbitano in risonanza 2:3, e quindi non si verificano incontri ravvicinati tali da perturbare l'orbita di Plutone.
La superficie di Plutone, composta da ghiaccio d'acqua e di metano, non è uniforme. Sembra vi siano macchie più chiare, probabilmente composte di azoto e metano solido, che riflettono la debole luce presente, contrastando con il resto della superficie più scura, probabilmente costituita da antiche pianure laviche.
La densità media di Plutone, pari a due volte quella dell'acqua, suggerisce che il suo interno sia costituito da un miscuglio di materiali rocciosi e di ghiaccio d'acqua e di metano. L'oggetto sarebbe cioè composto in gran parte da ghiaccio e rocce silicatiche. Anche il nucleo sembra essere costituito in gran parte da silicati.
Plutone possiede tre satelliti naturali conosciuti: il più massiccio, Caronte, fu identificato nel 1978, mentre gli altri due, di dimensioni minori, Notte ed Idra, sono stati scoperti nel maggio 2005.
Plutone ha fatto da scenario per diverse opere narrative, principalmente di fantascienza, fin dalla sua scoperta. Alla sua popolarità ha certamente contribuito il fatto che - quand'era ancora classificato come pianeta - aveva il primato di essere il pianeta più esterno del sistema solare. Secondo un'idea popolare nella prima fantascienza, i pianeti più esterni, formandosi prima, sarebbero divenuti abitabili più presto rispetto alla Terra, dunque Plutone avrebbe potuto ospitare esseri molto evoluti.
Il cane di Topolino, Pluto, venne così denominato perché introdotto nel mondo dei fumetti pochi mesi dopo la notizia della scoperta del pianeta.
Plutone è una delle principali divinità della mitologia romana, signore dell'Ade sul quale regna assieme a Proserpina. Corrispondente all'Ade greco, che significa il ricco, era presso di essi un sinonimo. Fu assimilato all'antica divinità del Dis Pater e ne riprende i caratteri mitologici: è figlio di Saturno e Cibele, ed assieme a Nettuno e Giove (padre della seconda generazione degli déi), partecipa alla titanomachia e la successiva spartizione dei mondi. Giove sceglie la terra e il cielo, Nettuno il mare, Plutone il regno delle ombre.
Secondo la mitologia, Plutone, non riuscendo a trovar moglie a causa del suo aspetto e del suo regno, rapì Proserpina mentre era vicina all'acqua e la condusse nell'Ade dove la fece sua sposa, ma rimaneva nell’Ade solo un terzo dell’anno. Dai Romani Plutone, pur se associato al regno dei morti, veniva considerata una divinità benevola e generosa, in quanto dispensatrice delle ricchezze ricavate dalle miniere. Il suo nome è la traduzione del greco Plùton “il ricco” che era un soprannome dato ad Ade, il dio che governava gli inferi: ricco perché le viscere della terra celano ricchezze inesauribili. Per questo lo si rappresentava col corno dell’abbondanza. Lo si raffigurava barbuto e nudo su un trono, con una corona nera come la notte, uno scettro in una mano, a simboleggiare la sua signoria sul regno delle ombre, ed una chiave nell’altra perché dal suo dominio nessuno poteva uscire. Veniva detestato dagli dei e temuto dal popolo che temeva pronunciare anche solo il suo nome, per paura di scatenare la sua ira, poiché era il Dio dell'Ade.
Plutone, veniva raffigurato molto spesso nei dipinti con la terra in mano e come un uomo maturo, dallo sguardo severo, barbuto e con folta capigliatura. Sovente è assiso con in mano uno scettro su un trono d'ebano e con il cane tricefalo Cerbero ai piedi. È rappresentato anche con un mazzo di chiavi in mano su un carro trainato da cavalli neri.
Il pianeta simboleggia l’energia vitale nel suo duplice aspetto di vita e di morte, centrifuga e centripeta, le profondità delle tenebre interiori, gli strati più occulti della psiche. Apre la via alle dimensioni dell’invisibile, alla scoperta di ciò che vi è celato, metamorfosi e rinascite spirituali; ma dall’altro lato esprime anche tutte le potenze dell’aggressività distruttrice.
Le piante a lui sacre sono il cipresso ed il narciso.
Plutone è signore dello Scorpione. Gli scorpioni sono un ordine di artropodi velenosi della classe degli aracnidi. Ci sono circa 2000 specie di scorpioni nel mondo, caratterizzati da un corpo allungato e una coda segmentata che termina con un pungiglione da cui viene iniettato il veleno. Come aracnidi, gli scorpioni hanno vicino alla bocca degli organi chiamati cheliceri, un paio di pedipalpi, e quattro paia di zampe. I pedipalpi, a forma di tenaglia, sono usati principalmente per catturare le prede e per la difesa, ma sono anche ricoperti di diversi tipi di peli sensoriali. L'addome consiste di 12 segmenti distinti, di cui gli ultimi cinque formano ciò che viene comunemente chiamata "coda". Al termine dell'addome c'è il telson, che ospita una struttura a forma di bulbo che contiene le ghiandole velenifere e un aculeo incurvato per iniettare il veleno.
Lo scorpione sudafricano "lungacoda" raggiunge una lunghezza di oltre 17 cm ed è forse il più lungo del mondo. Particolarità degli scorpioni, è quella di diventare luminescenti se esposti ad alcune frequenze di ultravioletti. Comunemente si pensa agli scorpioni come animali da deserto, ma vivono anche in molti altri paesaggi, come praterie e savane, foreste caduche, foreste pluviali, e caverne. Sono stati trovati scorpioni sotto rocce coperte di neve ad oltre 3600 metri di altitudine nelle Ande sudamericane e nell'Himalaya.
Gli scorpioni sono animali predatori notturni che si cibano di una varietà di insetti, ragni, invertebrati, e altri scorpioni. I più grandi a volte si cibano di vertebrati, come piccole lucertole, serpenti, e topi. La preda viene individuata principalmente percependo le vibrazioni. Nonostante siano armati di veleno per difendersi, gli scorpioni cadono preda di molti tipi di animali, come scolopendre, ragni del sole, lucertole insettivore, uccelli (specialmente gufi), e mammiferi (inclusi topi e pipistrelli). A meno che non siano disturbati, gli scorpioni sono timidi e fanno uso del loro pungiglione allo scopo di uccidere la preda. Il loro veleno è rivolto a bloccare l'attività ad altri artropodi.
Lo scorpione, apparso circa 350 milioni d’anni fa, sembra voler sfidare le leggi dell’evoluzione, dato che la sua forma non ha subito alcun mutamento come se il suo corpo fosse, già dall’inizio, perfetto per il suo stile di vita. Se per i moderni zoologi rappresenta un affascinante enigma, pure l'immaginazione dei nostri progenitori fu colpita dall’aspetto e dal modo di vivere di questo animale che, senza essere né rettile né insetto, è tuttavia caratterizzato da entrambe le nature. È insetto per la corazza che lo ricopre ma rettile per la vita sotterranea che conduce. Animale in grado di dare la morte attraverso il suo veleno violento e doloroso, che emette dal pungiglione posto all’estremità della coda, ha un aspetto niente affatto piacevole che lo fa apparire come un mostro nero, crudele e cieco ma dotato anche di strane capacità come la danza sessuale che esegue per affascinare il partner.
In Egitto, lo scorpione fu onorato come dio sotto le sembianze femminili della dea Selkhet, divinità benevola, protettrice delle profondità della terra, che conferiva poteri taumaturgici ai suoi adepti.
I sacerdoti di Selkhet erano abilissimi incantatori di scorpioni e grazie a tali incantesimi erano in grado di farli uscire dalle loro tane senza correre il pericolo di essere punti, e ancora oggi, in Oriente, vi sono persone che riescono a sopportare il continuo contatto con questi animali. Se presso i Maya lo scorpione era adorato come dio della caccia e simbolo della penitenza, nell'antica Grecia lo troviamo invece come strumento di vendetta usato da Artemide. Narra, infatti, la leggenda che la dea, cacciatrice e protettrice della fauna, fu offesa da Orione che voleva distruggere tutti gli animali del creato. Ella mandò come punizione un grande scorpione che punse mortalmente Orione al tallone. Artemide, riconoscente, trasformò lo scorpione in una costellazione e, poiché anche Orione aveva subito la stessa sorte, da allora e per sempre la costellazione d'Orione è costretta a sfuggire a quella dello Scorpione.
Nel Vecchio e Nuovo Testamento lo scorpione raffigura il nemico, il demonio; nel libro di Ezechiele vengono indicati con il nome di questo animale coloro che sono nemici del profeta e della parola divina.
Nell’interpretazione simbolica della psicologia del profondo lo scorpione, come il serpente e ogni altro rettile, è simbolo che richiama immagini di forze primitive, ancestrali che, come questo animale, sono presenti nel mondo dalla notte dei tempi.
Lo Scorpione ha in comune con la Vergine la lettera EMME, che nello Scorpione finisce in una codina a freccia o a dardo. La lettera emme simboleggia l’Acqua primordiale da cui tutte le cose sono scaturite, mentre la freccia allude alla morte, alla sofferenza, ad una ferita. La emme maiuscola frecciata simboleggia, dunque, il ritorno allo stato primordiale attraverso la sofferenza e la morte. Lo Scorpione è l’ottavo segno dello zodiaco, segno di acqua. È un’acqua torbida, putrida, ma nello stesso tempo piena di vita per tutti i batteri che ci vivono. È una vita “nascosta” come del resto fa lo Scorpione, dove di nascosto c’è il Sole in esaltazione per trasparenza, come a dire che questo Sole ha in sé il segreto di un’altra vita, una discesa negli inferi che è necessità della morte come possibilità di resurrezione. Ci vuole l’aggressività di Marte per poter sopravvivere in un ambiente simile che, unita alla sfida calcolata dell’accoppiata Plutone Mercurio – esaltato nel segno – dà un lucido istinto di autodifesa e una volontà vitale pronta ad inserirsi nelle situazioni più impensate e un disprezzo per le tradizioni e per gli agi per la caduta di Giove. La trasparenza del Sole in Scorpione, secondo la teoria degli Zodiaci B di Lisa Morpurgo, suggerisce l’idea della morte come resurrezione e transito verso una migliore vita, tanto che il segno viene definito l’Araba fenice che risorge dalle sue ceneri, come il seme che muore in terra per “risorgere” pianta. Questa situazione suggerisce allo Scorpione il fascino del rischio e Marte in Scorpione è l’attitudine a dare il meglio di sé quanto più la situazione è pericolosa. Sono situazioni di cui gode il fascino ed il rischio è quello di subire il fascino della morte che diventa volontà di autodistruzione. Mercurio dona allo Scorpione una capacità di intuizione quasi diabolica; quella di Mercurio in Scorpione è un’intelligenza che non si arrende, che non fa concessioni alla tenerezza o all’altruismo; la volontà aggressiva diventa attivamente creatrice, pronta a scatenarsi lucidamente quanto maggiori sono le difficoltà da superare; riesce a cogliere il lato segreto delle azioni altrui senza alcuna difficoltà e senza farsene accorgere approfittando di tutte le situazioni possibili. Lo Scorpione lavora dietro le quinte, amando manovrare gli altri senza che se ne accorgano. Mentre il segno della Bilancia è schizzinoso, lo Scorpione non lo è affatto, anzi ha dimestichezza con le feci e rovistare nel torbido, è la sua passione.
Allo Scorpione corrispondono le ghiandole a secrezioni esterna, l’intestino retto e l’ano. La lettura simbolica dell’intestino è strettamente collegata a quella del cervello. Questi due organi sono simili nel colore (chiaro) e nell’aspetto macroscopico: le circonvoluzioni cerebrali e le anse intestinali. Ma anche nelle funzioni: il cervello assorbe stimoli e impressioni dall’esterno, ne trattiene una parte sotto forma di memoria ed esperienza ed elimina l’altra in forma di sogni e “pensieri di scarto”. L’intestino, in modo analogo, riceve il cibo ingerito, ne filtra una parte (nell’intestino tenue e crasso) che andrà nei vasi sanguigni e che costituirà i mattoni del nostro corpo, ed elimina la parte residua (con il crasso e l’ano) in forma di feci. Si configura, quindi, come un cervello “in basso”, un organo cioè che esprime non solo le funzioni viscerali, ma anche gli istinti e le pulsioni che sono alla base del nostro essere. Il mondo “basso” è legato per analogia anche agli aspetti dell’essere umano giudicati “inferiori”: tutti siamo portati a considerare l’intestino e la funzione che esercita come sporca. L’intestino diventa quindi il luogo-simbolo in cui si svolge l’elaborazione di quei contenuti psichici (desideri, trasgressioni, fantasie immorali, pensieri sporchi…) che sono inaccettabili alla coscienza: giudicati inadeguati, trasgressivi, da censurare, o sono stati rimossi perché non corrispondenti all’immagine “pulita” che la persona ha di se stessa. Ma la funzione escretrice è anche espressione di creatività. Per il bambino, nei primi mesi di vita, la defecazione è, insieme al pianto, un momento fondamentale dell’espressione di sé. Le feci costituiscono il primo vero prodotto concreto che il bambino vede e sente uscire dal proprio corpo. Nei primi tre anni le feci diventano un “dono prezioso” che il bambino fa agli altri (la mamma, il papà, l’ambiente esterno…) su cui investe una parte importante del proprio essere. La fiducia di base si costruisce proprio, anche se non solo, su come la “cacca” viene accolta dai genitori. Crescendo l’espressione creativa utilizza ovviamente modalità ben più consapevoli e raffinate e tuttavia anche nell’adulto la defecazione resta collegata in modo analogico alle istanze di dare e del trattenere, del donare e del negare, nel dire di sì o di no. Tali simboli emergono in primo piano in forma di sintomi (colite o stipsi) quando la persona non riesce ad affrontare e a risolvere in modo cosciente i conflitti che riguardano queste tematiche. Ecco allora che il cervello ed il corpo dovranno ripristinare la modalità arcaica infantile con cui tali conflitti verranno risolti. L’intestino ha, poi, un’altra valenza simbolica: la defecazione è un rito quotidiano “sacro”, dotato di una capacità di purificazione. Esso può essere considerato come un labirinto buio e nascosto nel quale avviene la trasformazione della materia in una parte “sacra” (che viene assorbita) e in una “profana” (che è espulsa). In questo caso è presente il richiamo al mito del Labirinto in cui l’Eroe trova se stesso affrontando i mostri dell’inconscio, cioè quelle parti di sé inaccettabili o sconosciute che vanno integrate nella coscienza. I problemi intestinali indicano una generale tendenza alla rimozione di istinti, pulsioni e pensieri “scomodi” dovuta ad una componente morale troppo rigida e giudicante, e un dialogo insufficiente con la dimensione inconscia.
Le emorroidi sono vene dilatate e tortuose sulla parete del retto, possono infiammarsi provocando dolore. Si classificano in interne ed esterne, cioè che fuoriescono dall’ano. Sono favorite da eccessivi sforzi durante la defecazione in soggetti stitici, dal sollevamento di pesi e gravidanza. Le emorroidi sono il tentativo di controllare e eliminare le pulsioni viscerali. Le emorroidi simboleggiano qualcosa che sta uscendo dalla sua sede. Nelle emorroidi la mucosa anale, che prolassa verso l’esterno coi suoi contenuti, va verso il basso sfuggendo dalla coscienza.: si tratta di contenuti che proprio non vogliono essere presi in considerazione. Sono pulsioni profonde, legate perlopiù al mondo degli istinti, a una sessualità non vissuta o vissuta all’interno di un forte conflitto morale, dove è giudicata sporca, come qualcosa di cui vergognarsi; ma può anche trattarsi di un dolore profondo, viscerale appunto, a un lutto, a una separazione, che vuole essere controllato e subito spinto via, spinto fuori, prima ancora di essere elaborato. L’emorroide esprime il rifiuto di un dolore troppo grande, di una sofferenza insostenibile che “non ci sta dentro”. Quando si collega alla stipsi, il tema dello “spingere fuori” è correlato al trattenere tipico della persona stitica e, in tal caso, le emorroidi “compensano” le feci mancanti. Tuttavia, esse possono avere anche una valenza difensiva nei confronti del mondo esterno: soprattutto nella donna, quando si sente minacciata dal forte desiderio sessuale del partner o, in generale, quando sente di poter essere invasa da eventi più grandi di lei. Qui, le emorroidi indicano il bisogno di chiudere il passaggio simbolico di entrata, mettendo un ostacolo alle insidie che giungono dall’esterno. In altri casi ancora, le emorroidi segnalano una stasi esistenziale; associate a un eccesso di sedentarietà, indicano che si sta “covando” troppo qualcosa: un progetto, un’energia, un desiderio. Una volta che le emorroidi si sono presentate in modo sintomatico, è necessario non trascurarle e seguire bene le cure finché la fase acuta non sia passata del tutto. Se è un disturbo frequente, si può fare molto a livello preventivo; per esempio, cominciando a dare più spazio all’espressioni di emozioni e pulsioni profonde che, invece, si tende a trattenere: in particolare la paura per le fantasie sessuali, la rabbia per un torto subito. Sono cose che vanno “dichiarate”, sentendo tutta la legittimità della loro presenza. Altro elemento importante è imparare a riconoscere prima quali sono gli impegni gravosi cui possiamo e vogliamo sottoporci, per poter subito dire di no senza aspettare il sintomo. E se si ha un progetto, non covarlo troppo a lungo ma essere dinamici e attivi. È utile l’assunzione dei macerati glicerici di castagno (50/70 gocce) prima di colazione e ippocastano (50/70 gocce) per due mesi, 2-3 volte all’anno. In fase acuta, si consiglia l’assunzione di sostanze antiossidanti per rinforzare la microcircolazione. Per esempio, l’espedrina, di cui sono ricchi gli agrumi.
La stipsi è un disturbo che si manifesta con una scarsa o poco frequente defecazione (meno di tre volte la settimana); la forma più diffusa, detta primitiva, è perlopiù dovuta a un’alimentazione carente di fibra e di liquidi. La stipsi secondaria insorge in associazione a patologie intestinali, neurologiche o ginecologiche, oppure dopo interventi chirurgici. La stipsi è il trattenere strenuamente e nascondere una parte preziosa di sé, o “sporca” o troppo trasgressiva. La stipsi è generalmente associata alla tendenza a trattenere le cose e ad una scarsa capacità di generosità, intesa come darsi agli altri e come lasciarsi andare. Considerando le feci in analogia coi pensieri, si può dire che spesso la persona stitica è assillata da pensieri ricorrenti ai quali si sente particolarmente attaccata. Vi sarebbe in un certo senso un vero e proprio “ingorgo”, tanto in alto (a livello della coscienza) quanto in basso (a livello dell’intestino). Così gli escrementi diventano contenuti vitali, elementi preziosi da trattenere. E in effetti lo stitico ha una grande “attrazione” per le feci intese come momento di vita (creazione) e di morte (espulsione e perdita). È come se egli, attraverso la stipsi, cercasse di compensare l’affettività che si è bloccata, facendo del “possesso” l’unico suo modo di essere in rapporto col mondo. Oppure gli escrementi rappresentano tutte le fantasie più “sporche”, proibite e trasgressive, da occultare a tutti i costi, a noi stessi e agli altri. La stipsi cronica è la difficoltà di evacuare, cioè di liberarsi di qualcosa che ha già svolto la sua funzione all’interno del corpo e ora dovrebbe essere ri-immesso nell’ambiente, ha molte implicazioni simboliche. Tra le più immediate c’e il tentativo di non cedere, di trattenere a lungo il cibo che il soggetto sente appartenergli: possono essere oggetti, situazioni, persone. Spinta agli estremi, la mentalità dello stitico può essere riassunta nell’espressione "esisti in quanto possiedi (un corpo, pensieri, affetti, feci, ecc.)". Lo stesso atteggiamento agito dal corpo si riscontra in svariati ambiti di vita, per esempio nelle relazioni, nel lavoro, negli affetti. Più grave è la sintomatologia, tanto più radicata è la paura che, lasciando andare qualcosa di sé e rinunciando al possesso e al controllo di una propria parte, si possa perdere anche se stessi: per questo motivo lo stitico può essere piuttosto avaro. La necessità di "non lasciarsi andare" può avere naturalmente innumerevoli ragioni. Rappresenta il tentativo di ergere una difesa, in situazioni nelle quali si percepisce l’ostilità dell’ambiente. Non "ci si fida", e quindi si cerca di esercitare un controllo su tutto ciò che avviene e, nello stesso tempo, si cerca di "trattenere” tutte le forze a disposizione. Questo atteggiamento viene ovviamente accentuato quando il soggetto si trova in un ambiente nuovo, dove le sue capacità di adattamento vengono messe alla prova, o in una situazione di prolungato disagio.
Soffrono di stipsi le persone diffidenti verso gli altri, che non si lasciano mai del tutto andare nei rapporti; mantengono sempre una parte di sé al sicuro, nascosta da possibili giudizi e critiche, anche se tutto questo può essere mascherato da un atteggiamento di schietta generosità. Cosi facendo mettono in atto una forma di difesa, di salvaguardia di se stessi da questo contesto vissuto come “nemico" e pericoloso.
Si consiglia di privilegiare nella dieta cibi contenenti fibre grezze, verdura, frutta fresca o secca, e assumere maggior quantità di acqua e liquidi (succhi, centrifugati, tisane); consumare giornalmente fermenti lattici vivi che riequilibrano la flora intestinale regolarizzandone le funzioni; analizzare il proprio atteggiamento interiore e il modo di porsi con gli altri aiuta a comprendere quali sono i punti in cui c’e un conflitto e sui quali intervenire. Se il problema è un’eccessiva “gelosia" per i propri sentimenti e le proprie cose (soprattutto quelle un po’ oscure e temute), e il timore di mostrarli agli altri, è necessario imparare a lasciarsi andare, soprattutto nelle manifestazioni di generosità (materiale o affettiva). Ciò ha un effetto non solo psicologico, ma anche concreto: può aiutare a rilassare la muscolatura, in particolare quella addominale, e a contrastare la resistenza a lasciare andare il contenuto intestinale; per rilassare la muscolatura addominale, può essere utile sottoporsi a linfodrenaggio, massaggi rilassanti con oli essenziali, tecniche di rilassamento muscolare associate ad aromaterapia. È indicato un infuso di malva, 2-3 volte al di (2 cucchiaini in una tazza di acqua calda per 10 minuti, poi filtrare e bere) per aiutare la motilità del’intestino e disinfiammare le mucose, in quanto è molto efficace nel caso di stipsi accompagnata da bruciori e dolori localizzati nella zona del retto, renderà più “morbido il momento della defecazione, intervenendo anche su quei problemi digestivi che seguono il disturbo. Chi soffre di stitichezza persistente e molto dolorosa, può cercare di integrare la cura fitoterapica con le fibre di baobab. L’effetto di questo rimedio aiuterà ad “ammorbidire” e facilitare l’evacuazione, in questo caso le dosi sono di 1 bustina o di 1 compressa al giorno. I semi di lino sono un’ottima risposta per quegli intestini che hanno una stipsi saltuaria; da utilizzare in decotto (mettere in un bicchiere d’acqua 3 cucchiai di semi di lino, portare all’ebollizione per 5 minuti, separare i semi dal decotto, far raffreddare e aggiungere un cucchiaino di mannite, quindi bere a piccoli sorsi)
La ragade anale è piccola ferita che si crea sulla mucosa della parete finale del retto, vicino all’ano, in seguito al passaggio di feci di consistenza troppo dura. Provoca dolore intenso alla defecazione e talora sanguinamento. Indica la paura di mostrare alcune parti di sé. La ragade anale si presenta di solito in periodi in cui alcuni conflitti interiori approdano ad un punto di tensione tale da farsi laceranti. La persona ha un dibattito interno che riduce la consueta capacità di esprimersi ma anche di lasciare andare il passato. Feci solide e di notevoli dimensioni indicano che la persona ha tanto da manifestare, ma anche che ha accumulato molto dentro di sé (non a caso la stipsi si associa con una certa frequenza a tale patologia). La scarsa elasticità dell’ano e la contrazione della muscolatura rettale che si oppone al passaggio naturale delle feci, simboleggia la paura di mostrare e di lasciar correre via queste parti di sé. C’è un punto, infatti, nella defecazione che crea la ragade, in cui si rischia l’ingorgo, le feci non passano, se non a prezzo di una “rottura”: la ferita della mucosa anale è l’equivalente su un piano pischico di una piccola lacerazione interiore. Come se dover lasciare andare qualcosa di sé implicasse dolore e sanguinamento; come se “portar fuori” implichi “perdere” una parte di sé. E ciò, in quel momento, è doloroso e a volte inaccettabile. La ragade anale sembra così alternare due scelte: col suo dolore acuto e pungente induce la persona a cercare di ridurre le scariche (scelta di trattenere). Quando queste avvengono, il dolore si fa intenso (e la ragade a volte sanguina) a significare la difficoltà del lasciar andare (scelta espulsiva/creativa). Anche nel bambino la ragade anale è perlopiù legata al tema della stipsi. Nei periodi di stitichezza il trattenimento è collegato alla naturale fase di negazione di sé necessaria alla strutturazione dell’identità e di conseguenza porta alla creazione di feci più grosse che creano la ragade. In altri casi la stipsi è il modo in cui il piccolo elabora un lutto o una perdita, oppure esprime un disagio per l’eccesso di attenzione che i genitori hanno per la sua attività intestinale. Il rilassamento della muscolatura pelvica è una tappa terapeutica essenziale per chi soffre con frequenza di ragadi anali; è necessario sciogliere gradualmente le tensioni che si sono stratificate nel tempo in questi tessuti complessi e delicati. In una seconda fase è utile aggiungere esercizi di contrazione/rilassamento della muscolatura del perineo. Per chi fatica a considerare un simile approccio, che può essere considerato un po’ invasivo della propria intimità, è possibile partire da un rilassamento muscolare generale. Su un piano psicologico, un esercizio analogo efficace è quello di creare un nuovo ordine nella propria casa e nella propria stanza, buttando via alcuni oggetti che hanno ormai perso senso, sia dal punto di vista pratico che affettivo. È utile l’assunzione del macerato glicerico di quercia: 50 gocce in poca acqua, 1-2 volte al giorno, fino a completa guarigione. La tintura madre di calendula può essere usata per spennellature locali.

COLITE è un termine generico col quale si indica il classico “mal di pancia” accompagnato da scariche diarroiche e dolori; non sempre è presente una vera e propria infiammazione del colon. Le cause sono molteplici: ansia, spaventi, infezioni batteriche, virali o da parassiti. Vuol dire voler eliminare con forza le parti inaccettabili di sé. La colite è una delle patologie nelle quali vediamo con maggiore evidenza come il corpo basso possa farsi carico di ciò che l’alto non riesce a elaborare, facendone le sue veci. L’intestino (il basso) con la colite esprime ciò che il cervello e la psiche (l’alto) non riescono a contenere ed eliminare. Le feci nella colite rappresentano i pensieri sporchi, ciò di cui vergognarsi: fantasie sessuali, aggressività, propositi contrari alla morale persona; i cosiddetti “bassi istinti", che non devono essere visti all’esterno e che spesso devono essere sottratti anche alla coscienza, spinti giù in basso e eliminati posteriormente, per non vederli. Il colitico vuole sentirsi pulito - fuori e dentro - e i rituali e le abitudini a cui si sottopone (in particolare igienici) fanno acquistare a tali azioni il carattere inconscio di veri riti di purificazione. In quanto incarnazione di ciò che è rimosso o non vissuto dal soggetto, le scariche diarroiche rappresentano un modo per riuscire a far vivere, anche se in modo tortuoso, quelle parti che la persona, con il suo atteggiamento metodico, ordinato, moralista, esteriormente pulito, è costretto a negare. Il caos e l`ineluttabilità delle pulsioni viscerali riescono così a scaricarsi, mantenendo un seppur precario equilibrio psicofisico. E tra le cose negate alla coscienza c’è anche la paura: paura di singoli eventi (come affrontare un esame), oppure un cronico stato di allerta come nei disturbi d’ansia: la scarica immediata e la riattivazione di un modo arcaico di sottrarsi a una situazione vissuta come pericolosa, un essere più leggeri per poter scappare. Un approccio psicoterapico dovrà tener conto di un lato Ombra del soggetto colitico, che va progressivamente incorporato e accettato. È importante prendere coscienza delle emozioni negate e delle parti che non si accettano di se stessi, riuscendo via via a esprimerle in forme adulte e sane. Se la colite è presente da anni, ci vorrà tempo affinché se ne vada, ma va ricordato che ciò che conta è viversi in modo meno moralistico e più libero. In coppia si può trovare il coraggio di proporre al partner le proprie fantasie sessuali, anche quando sembrano “forti" e inaccettabili per i consueti parametri. Si potrebbero avere piacevoli sorprese. È utile aiutarsi con regolatori della peristalsi intestinale di tipo naturale. Particolarmente indicato in questi casi è il macerato glicerico di fico (un riequilibratore dell’intestino che agisce anche sull’ansia riducendola); se ne assumono 50 gocce prima di pranzo e cena, anche fino a 6 mesi.

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