Bruce Chatwin, il viaggio delle meraviglie

di un Toro errante

di Massimo Michelini

 

«Questo libro vuole spiegare la mia irrequietezza,
accompagnata da una morbosa fissazione per le mie radici»

Taccuino inedito di B. C.,
citato in Nicholas Shakespeare, Bruce Chatwin, Baldini & Castoldi, Milano 1999, p. 37

L’incessante moto degli astri crea combinazioni particolari, uniche, che all’apparenza stravolgono le più elementari indicazioni astrologiche, come ad esempio quella che il Toro sia sedentario, poco curioso e fondamentalmente stanziale. Già, certo, e allora come mai Bruce Chatwin, uno dei più noti scrittori della fine del Ventesimo secolo, che ha avuto una vita raminga (tanto da scrivere un libro intitolato Anatomia dell’irrequietezza) e ha tessuto l’elogio del nomadismo, è proprio del Toro? Proviamo a capirlo. Perché, se pure fu viaggiatore ed errabondo, fu anche profondamente Toro, in maniera tutta sua. Ma partiamo dalla sua vita, per chi non la conoscesse o non la ricordasse.

Chatwin nasce in piena seconda guerra mondiale il 13 maggio 1940 alle 20.30, a Dronfield, nei sobborghi di Sheffield. Proviene da una famiglia del ceto medio-alto ma, come scrive il suo biografo Nicholas Shakespeare, «nella sua immaginazione – e a volte nell’atteggiamento – era un patrizio, un giovane principe». I genitori si erano sposati nel 1938 ma, un mese prima della nascita di Bruce, il padre Charles è costretto ad arruolarsi in marina. Padre e madre hanno personalità estremamente diverse. Il padre è una persona posata, coi piedi piantati in terra, timido e impacciato, la madre, Margharita Turnell, ha una «grande rettitudine morale, con un tantino di Rossella O’ Hara». La sua famiglia ha avuto un crollo finanziario mentre lei era adolescente, il che le ha impedito di ricevere un’istruzione adeguata. Ma è scaltra e molto bella.
Come molti bimbi nati in tempo di guerra, Bruce cresce circondato da figure femminili e da persone anziane, trattato come un reuccio che – suo malgrado – ignora e non conosce la figura paterna. La madre poi lo adora e lo vezzeggia, lo tratta quasi fosse una bambina e a volte lo veste anche con abiti femminili. Il primo luglio del 1944 gli nasce però un fratellino, Hugh, e a Bruce – come quasi sempre accade – pare che il nuovo nato gli rubi tutto l’affetto della madre. A guerra conclusa torna anche stabilmente il padre e la famiglia inizia un’esistenza regolare, pur con qualche ristrettezza economica. Le non ingenti risorse familiari costringono i genitori a mandare Bruce in una scuola cattolica di medio livello, dove il giovane Chatwin non brilla particolarmente quanto al profitto scolastico. Tanto che, terminato il college, anziché iscriversi all’università, Bruce decide di lavorare; grazie a certi contatti di famiglia riesce a impiegarsi presso la casa d’aste londinese Sotheby’s.
Bruce è sveglio e ha una eccezionale memoria visiva. In breve diventa perciò un esperto di arte impressionista, come pure entra in contatto con il mondo del jet-set, con i membri del quale tratta con estrema naturalezza per acquisire opere d’arte per Sotheby’s. È un ragazzo molto bello e, nel disinvolto ambiente londinese che frequenta, ha diverse esperienze omosessuali. Ciò nonostante il 26 agosto 1966 sposa una collega di Sotheby’s, l’americana Elizabeth Chanler, discendente da una ricchissima famiglia. La moglie è a conoscenza della sua bisessualità e, nonostante molte crisi, gli resterà al fianco fino alla fine dei suoi giorni.
Presto però nell’ambiente di Sotheby’s Bruce comincia a stancarsi e nel 1966 si licenzia per studiare archeologia all’università di Edimburgo. Non completa ovviamente gli studi perché gli impegni troppo pressanti e ripetitivi lo annoiano e, dopo aver scritto un libro sulla sua ossessione – il nomadismo – che nessuno gli pubblica perché troppo confuso e arzigogolato, inizia a collaborare come giornalista esperto d’arte per il supplemento letterario del «Sunday Times». È l’ennesima occasione, come gli è già capitato da Sotheby’s, per farsi pagare viaggi in giro per il mondo, con il motivo-pretesto di scrivere articoli su personaggi o situazioni di luoghi esotici.
Nel 1974 si stanca anche di fare il giornalista e di punto in bianco parte per la Patagonia dove passa sei mesi, viaggiando con mezzi di fortuna e facendo gli incontri umani più singolari. Frutto di questa avventura è In Patagonia, il suo primo libro edito che ha un enorme successo mondiale. Forte di tale successo, Chatwin si dedica a tempo pieno alla carriera di scrittore, alternando nuovi libri a lunghi viaggi in giro per il mondo, nei luoghi più strani e affascinanti. Nel giro di qualche anno pubblica anche Il viceré di Ouidah, Sulla collina nera, Le Vie dei Canti, Utz, Che ci faccio qui?, che riscuotono altrettanto successo facendolo assurgere al rango di scrittore mito per gli intellettuali irrequieti e giramondo.
Dal canto suo, lui è tanto irrequieto anche intellettualmente da spaziare in ogni nuovo libro in un tema diverso, e usando uno stile differente dal precedente, pur mantenendo una propria cifra stilistica personalissima e inimitabile. Ne Il viceré di Ouidah narra infatti di schiavismo, Africa e Brasile, in Sulla collina nera di una famiglia gallese che non si sposta mai dal proprio angusto ambiente natale, ma spazia poi con la fantasia, in Le Vie dei Canti dell’immensa Australia e dell’anomala cultura aborigena, tutta tramandata oralmente, in Utz tesse la biografia di un maniacale collezionista di ceramiche ceco.
La sua vita è sempre stata molto intensa sotto tutti i punti di vista, compreso quello sessuale. In quegli anni non si sapeva ancora quanto fosse rischiosa la mancanza di precauzioni nei contatti erotici: Bruce rimase contagiato e nel gennaio 1989 morì di AIDS, lasciando dietro di sé i suoi singolari, incantevoli libri, frutto di una personalità anomala se non unica. Vediamo di capire, astrologicamente, il motivo della sua eccezionalità.

Come ha stigmatizzato Lisa Morpurgo ne Il convitato di Pietra, se al Toro spetta la tendenza alla stanzialità, all’opposto segno dello Scorpione va attribuito il nomadismo. Nomadismo non va però confuso con lo spirito di esplorazione, che è proprio del Nettuno in Sagittario, ma va inteso come rifiuto di mettere radici in un unico luogo, fisso e definitivo. Già il fatto che Chatwin fosse Toro ascendente Scorpione è indice di una dicotomia interna tra l’avere radici e il cercare di estirparle, senza probabilmente avere la possibilità di fare una scelta univoca per uno dei due poli. Ricordiamo che, se pure viaggiò in continuazione, Chatwin non abbandonò mai davvero e per sempre la natia Inghilterra dove era sempre “costretto” a tornare. Nel suo tema natale, inoltre, la seconda casa e la quarta – quelle legate al proprio territorio natale e all’atteggiamento che si avrà nel corso della vita nei confronti delle proprie abitazioni – cadono in due segni nettuniani, Sagittario e Pesci, a indicare che forse la casa ideale è addirittura il mondo, tendenza ribadita dalla Luna in nona casa, cosignificante del Sagittario. Gli spazi angusti di certo non gli appartenevano.
Va aggiunto poi che, essendo nato in tempo di guerra, nei primi anni di vita egli non ebbe mai una dimora stabile. E – guarda caso – la sua Luna-infanzia-casa è in Leone e in nona, congiunta a Plutone e quadrata a Mercurio e Saturno in Toro e sesta, quasi a segnalare i tanti spostamenti che subì da piccino e che poi, da adulto, ripeté senza che nessuno lo obbligasse a farlo. Va aggiunto en passant che il quadrato tra Luna e Saturno gli impediva probabilmente di compiere scelte definitive circa un’abitazione propria. E qui bisognerebbe interpellare anche la psicanalisi, ma non è questa la sede giusta per farlo.
Certo però non basta una Luna in nona casa per fare di un Toro un grande viaggiatore.
Arriva puntuale il soccorso di Nettuno-metamorfosi-avventura-viaggio al trigono perfetto del Sole, congiunto a Urano in settima. Le biografie riportano che il padre di Bruce era un uomo stabile e per nulla irrequieto ma il Sole, nel tema di ognuno di noi, rappresenta l’immagine che noi abbiamo del padre al momento della nostra nascita, e la sua situazione in quel particolare momento. Charles Chatwin – per l’appunto – nel 1940 era stato spedito con la flotta a difendere le coste del patrio suolo ed è probabile che il piccolo Bruce abbia vissuto, in modo voluto o più probabilmente involontario, la sua parte attiva – quella appunto dell’agire – come indissolubilmente legata al muoversi e allo spostarsi. Ma anche al fare. Il peregrinare dell’adulto Bruce non fu infatti mai perseguito come fine a se stesso, per puro amore dell’avventura. Il trigono tra Sole e Nettuno si dipana infatti tra segni di Terra e dapprima Chatwin si spostò ai quattro angoli del pianeta per acquistare oggetti d’arte per Sotheby’s, poi per catturare con la scrittura l’immagine di uomini e persone da eternare nei suoi libri. Il suo modo di descrivere è infatti estremamente icastico ed egli stesso dichiarò che «la scrittura è la pittura della voce». Ricordiamo che la vista e la voce sono entrambi fenomeni gioviani-taurini. Ma su questo punto tornerò poi.
Il trigono tra Urano e Nettuno conferisce inoltre a Chatwin una natura quasi aquariana, capace quindi di sfruttare al massimo le occasioni per trarne un vantaggio, umano ma anche materiale e concreto. Del resto la sua terza casa – quella della socievolezza spicciola – è proprio in Aquario e Bruce era capace di entrare in immediato contatto con nobildonne, mercanti, aborigeni e intellettuali e di trarre un’utilità dall’incontro. La moglie Elizabeth ha affermato: «Aveva la sensazione di essere ovunque il benvenuto. Non riusciva a immaginare di non essere gradito». Quando lavorava da Sotheby’s, ed era giovanissimo, il suo capo lo mandava a trattare l’acquisto delle collezioni più difficili da ottenere, sapendo che lui sarebbe riuscito ad arrivare là dove voleva. Il forte influsso di Urano gli faceva però anche interrompere i rapporti tutt’a un tratto, senza alcuna remora o indecisione, spinto dall’impulso dell’istante, per dedicarsi poi spesso a un nuovo progetto nato all’improvviso.
Ma, nonostante questo, come tutti i Tori – nel suo caso con quattro pianeti nel segno – Chatwin aveva uno strato imprescindibile di cocciuto attaccamento alle proprie posizioni e idee e, analizzando la sua vita, ritroviamo l’interesse costante e mai scemato per l’arte, il collezionismo, l’affabulazione (prima sotto forma di balle gigantesche che raccontava, poi come narrazione), la ricerca delle proprie radici.
Ricerca che, nel suo caso, non si spinge solo a cercare di saperne di più sui propri diretti antenati, ma vuole addirittura cercare di individuare il perché della scelta stanziale dell’umanità a discapito del nomadismo, vagheggiando addirittura di avere individuato tramite un amico archeologo il momento preciso in cui l’uomo per la prima volta usò il fuoco, e a credere anche di avere toccato con mano un reperto unico di quell’istante mitico.
Da cosa nasce questa ricerca? Astrologicamente dalle case ottava e nona forti, che analizzeremo a breve; biograficamente – e non è mai possibile tenere separati i due aspetti – da un ricordo d’infanzia.
In una vetrinetta del salotto buono della nonna paterna, dove egli visse in tempo di guerra, tra ninnoli vari e reperti storici ereditati nei modi più svariati era conservato un brandello della pelle di un milodonte, un animale preistorico, scoperto da un cugino della nonna in Patagonia, quella Patagonia destinata a offrire il trampolino di lancio al Chatwin grande narratore. La vista del reperto peloso scatenò la fantasia del piccolo, che da lì partì per i suoi viaggi meravigliosi e fantastici. Meravigliosi perché andava anche alla ricerca di cose che suscitassero meraviglia, per primo in lui, poi nel pubblico dei lettori a cui riportava l’affascinante cronaca del viaggio.
Non importa se il reperto di milodonte fosse autentico oppure no, costituì comunque e sempre la base della curiosità verso lo strano, l’esotico, ricondotto comunque in qualche modo in un ambiente domestico – il salotto della nonna – conservato, collezionato e soprattutto raccontato agli altri.
Nell’ottava casa di Chatwin sono presenti un Marte in Gemelli e una Venere in Cancro, congiunti. Venere riceve un sestile da Saturno in Toro e sesta casa, Marte un sestile da Giove in Ariete in quinta e un quadrato da Nettuno in Vergine e decima casa. L’eredità (propria dell’ottava) è vissuta con snobismo e affetto, con la volontà aggressiva di conservare quanto abbiamo ricevuto dal passato, forse anche per esorcizzare la paura della morte; e si tratta della sua stessa morte, come indica l’aspetto negativo tra Marte e Nettuno, che suggerisce anche la morte reale di Chatwin, conseguenza di una sessualità complessa e attratta dal rischio (sempre Marte e Venere in ottava).
La parte snobistica si manifesta in forma sotterranea (l’ottava) e nella particolare aggressività di Marte in Gemelli, che si scatena per lo più per dar maggior lustro all’Io (se pur in parte mitigata da Giove, che è comunque in Ariete e dunque si slancia ad appropriarsi di quel che lo attira). Dal canto suo Venere in Cancro, sorretta dal sestile di Saturno, sembra fermamente decisa ad abbracciare e a custodire (a non cedere) tutto ciò che è oggetto del suo slancio affettivo (e/o estetico?) e concupiscente. Allora forse la spinta di Chatwin ad appropriarsi di oggetti snobisticamente desiderabili (a ereditarli?) dà una colorazione molto particolare e personale anche al suo modo di fare il cacciatore di oggetti prima per Sotheby’s, poi per se stesso, in senso materiale e intellettuale. La congiunzione Marte/Venere, inoltre, dà all’operazione – al di là dei risvolti affettivi e sessuali che non ci interessano in questa sede – un tono altalenante tra slanci aggressivi e chiusura interiore per ritemprare gli affetti. Insomma, un bel po’ di complessità, come è stata complessa l’esistenza di Chatwin.
La Luna in Leone congiunta a Plutone in nona casa amplifica la tendenza ad affabulare e a nascondere le emozioni profonde, ma dando in qualche modo anche un’impostazione moralistica e didattica ai racconti uditi nell’infanzia, e alla narrazione in sé e per sé. E quindi senza neppure disdegnare di distorcere la realtà per adattarla alle proprie fantasie. Martha Gellhorn, vedova di Ernest Hemingway, conobbe Chatwin e riconobbe in lui la stessa tendenza del marito a raccontare balle colossali: «Non sono dei bugiardi consapevoli. Inventano le cose per ingrandire tutto quello che li circonda e la loro esistenza, e ci credono. Credono a tutto quello che dicono». Astrologicamente questa tendenza va attribuita al quadrato tra Giove-parola a fine Ariete (nei gradi governati da Plutone) e Plutone stesso, legato alla menzogna, a inizio Leone. Va detto che Ariete e Leone sono entrambi segni solari e la menzogna quindi serve a ingigantire e a dar maggior gloria all’Io. Insomma, le spara involontariamente grosse per essere al centro dell’attenzione e ci riesce con una facilità estrema.
Bruce quindi occulta e si reinventa, anche per una sorda insoddisfazione interiore, forse sociale, di certo esistenziale. Nasconde la sua sessualità (sorvolò infatti sempre sulle sue tendenze gay) ma reinventa anche le proprie origini (la quinta e il Leone) per darsi una dignità che attenui le intime insicurezze. E non si limita alla storia della sua famiglia. Forse, per giustificare anche di fronte a se stesso la perenne irrequietudine, vuole teorizzare che l’autentica natura della specie umana sia nomade, non stanziale. Per supportare la propria tesi, va a recuperare leggende e reperti di oscure popolazioni aborigene, e crede fermamente in quel che dice, nonostante il velleitarismo di molte sue affermazioni, imputabile al Nettuno in decima casa, ma anche alla nona casa forte e al tempo stesso lesa. Del resto la parola-Giove è congiunta a un cocciuto Saturno in Toro, mentre la creatività di Plutone (e la sua capacità di fabbricare menzogne) si unisce alle emozioni e ai ricordi della Luna. Che, essendo in Leone – e legata quindi anche alla specie umana – vorrebbe che questi ricordi fossero quasi genetici. O forse li ha davvero, ed è la mia scettica Luna in Vergine a dubitarne? Chi può mai dirlo?
Quella Luna rappresenta poi anche la moglie prestigiosa, complice, straniera, venuta da lontano e tenuta lontana, come fu per Chatwin l’ineffabile compagna Elizabeth.
Certo, la loro fu un’unione atipica, ma chi poteva inquadrare Chatwin in uno schema?
Attenzione, però, perché all’interno dell’apparente mancanza di schemi, nello scrittore era ben presente una grande capacità lavorativa e un’attenzione meticolosa al dettaglio percepito e visto, dettaglio che va catalogato, collezionato e immagazzinato per sempre (la congiunzione Saturno-Mercurio in Toro e sesta casa). Forse anche perché quei possessi terreni rappresentati dalle collezioni d’arte, di viaggi e di incontri umani, gli permettono di vincere un comunque presente senso di inferiorità (la sesta casa lesa, il quadrato tra Marte e Nettuno tra Gemelli e Vergine), se pure ottimamente mascherata.
Infine, se da un lato l’ascendente Scorpione e l’ottava casa forte lo obbligavano a occultare una parte di sé, la settima in Toro gli ingiungeva di mostrare il proprio volto così com’era, senza filtri.
L’arte riuscì solo parzialmente a sanare i suoi conflitti interiori, ma gli permise di descriverli e teorizzarli.
Inseguiva dentro di sé e fuori di sé le Vie dei Canti, un percorso interiore ed esteriore che gli indicasse un cammino da percorrere, ma anche la via del ritorno quando la stagione lo esigeva.
La pace non la trovò, non la poteva trovare. Errò per il mondo in un favoloso viaggio delle meraviglie, e lo descrisse come solo i grandi artisti sanno fare.

Tutte le informazioni biografiche e le citazioni sono tratte dalla biografia di Nicholas Shakespeare, edita in Italia da Baldini & Castoldi.

massimomichelini1@virgilio.it

14/11/2008