Marco Bergamo - Donne,
mi fate schifo
Bolzano,
3 gennaio 1985. I genitori di Marcella Casagrande, una timida studentessa
quindicenne dell’Istituto magistrale, tornando a casa scoprono
il corpo esanime della figlia trafitto da una quarantina di coltellate.
Calzamaglia e mutandine sono abbassate ma, come rivelerà l’autopsia,
la vittima non ha subito violenza carnale. La breve vita di Marcella,
la classica brava ragazza di buona famiglia, è passata al setaccio,
familiari, amici e conoscenti sono interrogati a tutto campo. Ma nonostante
l’accuratezza delle indagini gli inquirenti non approdano a
nulla: il caso viene archiviato come opera di autore ignoto.
A poco più di un mese di distanza, un’altra scoperta
orribile. Annamaria Cipolletti, 41 anni, insegnante di giorno e donnina
allegra di notte, viene trovata uccisa da numerose coltellate nel
monolocale che utilizza per i suoi incontri a luce rossa. Non ha indosso
né reggiseno né slip, ma anche in questo caso nessuna
traccia di rapporto sessuale. Solo diversi mozziconi di sigaretta
nel portacenere, alcuni profilattici e un appunto sull’agenda
della donna che dice: “Marco andato via”.
Passano sette anni, è il 7 gennaio 1992. Renate Rauch, una
prostituta di 24 anni, viene ritrovata morta in un parcheggio quasi
deserto. Uccisa anche lei nello stesso modo delle due precedenti vittime:
decine di coltellate selvagge che hanno risparmiato però gli
organi genitali.
La quarta vittima è un’altra, giovanissima lucciola,
la diciottenne Renate Troger. La trovano il 21 marzo 1992 in un piazzale.
La morte di Renate è stata causata da strangolamento, cui sono
seguite le solite tremende coltellate. Ancora una volta nessun fendente
ha infierito sulle parti sessuali, anche se le mutandine della ragazza
sono abbassate e recise.
Nelle prime ore dell’8 agosto, sempre del 1992, in una strada
periferica del capoluogo altoatesino viene trovato il cadavere, denudato
dal torace in giù, di Marika Zorzi, un’altra prostituta
appena maggiorenne: 28 le coltellate che l’hanno straziata.
La città è sotto choc, le donne sono terrorizzate. La
polizia, che brancola ancora nel buio, dopo questo ultimo delitto
predispone subito numerosi posti di blocco. Fermano un giovane, tale
Marco Bergamo, il quale dichiara che si sta recando in auto a Trento
per cure mediche. Il parabrezza della sua macchina è scheggiato
in più punti, e nel portabagagli gli agenti trovano la copertura
del sedile anteriore destro imbrattata di sangue nonché il
portafoglio di Marika Zorzi, la giovane prostituta uccisa poche ore
prima. Non possono esserci dubbi. Sottoposto a un serrato interrogatorio
in Questura, Bergamo finisce per confessare di essere lui l’autore
di questo omicidio. La Zorzi, stando a quanto dichiarato dall’assassino,
l’avrebbe respinto, nel momento culminante, quando già
stava sopra di lei, con i pantaloni calati, dopo essersi accorta che
gli mancava un testicolo. Nei giorni seguenti ammetterà di
avere ucciso anche la studentessa Marcella Casagrande, che Bergamo
ha frequentato per un certo periodo, grazie alla comune passione per
la fotografia. Anche in questo caso la “giustificazione”
del killer è sempre la stessa: si è sentito rifiutato
dalla ragazza e questo ha scatenato la sua furia omicida. Si riconoscerà
infine colpevole di un terzo omicidio, quello di Renate Rauch, che
a suo dire gli avrebbe detto “con te faccio solo pompini”,
facendolo sentire ancora una volta una nullità.
«È
vero, davanti al rifiuto è come se fossi in un pozzo, in un
tunnel, come se non vedessi assolutamente più niente... una
cosa assurda. Mi incazzo come una bestia. Il rifiuto da parte di un
uomo è come un fulmine che si scarica a terra.
Il rifiuto da parte di una donna è come un fulmine che si scarica
lentamente, che fa soffrire, fa stare male» (Gianluigi Ponti
- Ugo Fornari, Il fascino del male, Raffaello Cortina Editore
1999). Sulla tomba di Renate, dentro un mazzo di garofani avvolti
in un foglio di cellophane, un poliziotto aveva trovato un biglietto
dove c’era scritto: «Mi spiace ma quello che ho fatto
doveva essere fatto e tu lo sapevi, ciao Renate. M.M.». Quella
doppia M., diranno gli inquirenti, è forse una ripetizione
voluta dell’iniziale del nome dell’assassino, Marco, per
evidenziare, in modo provocatorio, il proprio crimine.
Marco Bergamo nasce a Bolzano il 6 agosto 1966 alle 18. La sua è
una normale famiglia di gente per bene, padre operaio, madre casalinga.
«Sono stati genitori molto premurosi, sia nei confronti miei
che di mio fratello... Mamma è stata più protettiva
che papà. Papà ha avuto un’infanzia abbastanza
dura; pur essendo il più piccolo, è quello che ha fatto
le veci del padre. È un uomo che vede e provvede a tutto. Non
ha mai lasciato niente al caso. Ha sempre aiutato molto sia me sia
mio fratello... Ci stava un po’ con il fiato sul collo, era
molto impegnato a educarci, voleva guidarci in tutto, era anche autoritario,
per esempio nelle spese, che mi ha sempre controllato... Da piccolo
mi faceva soggezione; dall’84 in poi, ho avuto invece con lui
un buon colloquio... Mamma è sempre stata un po’ timida,
con paura a chiedere le cose. Aveva paura di una eventuale reazione
di mio padre, perché papà, quando si arrabbia, alza
la voce. Non è una donna sottomessa, ma abituata al fatto che
mio padre provvede a tutto; a me ha sempre voluto bene, era più
lei che veniva a farmi le coccole che io a lei» (op. cit.).
Da bambino Marco soffrirà di un ritardo nel linguaggio, in
seguito un problemi di obesità e la psoriasi gli creeranno
seri complessi. Adolescente chiuso e introverso, riesce tuttavia a
frequentare regolarmente la scuola. A 18 anni consegue il diploma
di congegnatore meccanico e inizia a lavorare come manovale. Fa il
servizio militare negli Alpini. I commilitoni che forniranno la loro
testimonianza lo descrivono come un tipo strano, sempre solo, irascibile
e violento a parole. Tornato a Bolzano, Marco Bergamo lavorerà
per due anni in un’officina meccanica, poi in un’impresa
di costruzioni e infine in una fabbrica di botti, fino al momento
dell’arresto.
Una vita, insomma, all’apparenza normale, anche se lui proprio
normale non è. Dall’età di tredici anni gira infatti
con un coltello in tasca: i coltelli sono la sua passione, come le
gite solitarie in montagna e le riviste porno, che colleziona maniacalmente.
Le donne, per Bergamo, sono un universo oscuro e minaccioso, che lo
affascina e lo respinge al tempo stesso. Ai giudici racconterà
di avere avuto solo una relazione con una ragazza durata pochi mesi,
tra il 1990 e il 1991. «Non abbiamo mai avuto rapporti sessuali,
a parte baci e toccamenti. Lei non mi ha mai toccato nelle parti intime
e io neppure, perché avevo paura di un suo rifiuto e per rispetto.
Dopo la diffidenza, è passata al rifiuto. Mamma era contenta
che io avessi una ragazza, per me era come un banco di prova. Forse
non mi sarò comportato molto bene con lei, ma lei si è
comportata male con me. Abbiamo discusso più volte per la sua
falsità... e alla fine, di comune accordo, ci siamo lasciati...
Del resto, io sono il classico lupo solitario, non ho mai avuto nemmeno
amicizie maschili. Amo star solo, amo andar in giro a far fotografie,
colleziono foto, libri e cartoline illustrate; sono molto ordinato
e preciso... » (op. cit). E in un altro punto della sua confessione:
«La storia con quella ragazza è stata la conferma della
mia ipotesi: la donna è proprio un essere ignobile, egoista,
una persona che usa l’uomo come l’uomo fuma le sigarette.
Lo usa e poi, quando è consumato, lo butta via» (Gordiano
Lupi, Serial killer italiani, Editoriale Olimpia 2005).
Nel
1992 Bergamo subisce un intervento mutilante: l’asportazione
di un testicolo. Con i complessi cresce anche la sua avversione nei
confronti dell’altro sesso, causata dal terrore di essere deriso
e respinto, avversione che si intreccia con una libido perversa. Giornalini
porno e masturbazione, come emergerà nel corso del processo,
diventano i surrogati sessuali cui ricorre sempre di più. Sogna
spesso di uccidere delle donne colpendole al cuore e alla testa. «La
donna mi ha fatto sempre paura. Paura di non essere all’altezza.
Questa paura si è trasformata in odio quando ho pensato che
una donna mi avesse avvelenato il cane... Era il mio compagno di solitudine,
l’amico che non ho mai avuto. La morte del cane mi ha sconvolto.
Così ho incominciato a odiare tutte le donne... » (op.
cit.).
Le prostitute sono l’unica compagnia femminile che Marco Bergamo
possa permettersi. Nell’impossibilità di compiere un
regolare atto sessuale, con loro può infatti sfogare le sue
morbosità: per esempio guardarle mentre si spogliano, eccitarsi
osservando le loro parti intime. L’unica volta che si azzarda
a toccare una vagina, altro particolare fornito da lui, proverà
un senso di profondo schifo. Gli piace invece acquistare le mutandine
di quelle signore e non esita a rubare, quando ci riesce, capi di
biancheria femminile stesi ad asciugare. Tutti questi “feticci”
verranno ritrovati nella sua camera, assieme a una grande quantità
di foto porno ritagliate da riviste e gli amati coltelli, che pure
colleziona. Alcuni dirimpettai di Bergamo dichiareranno inoltre di
averlo visto più di una volta impegnato in quello che nel linguaggio
del codice penale viene definito “esibizionismo masturbatorio”.
Pur riconoscendosi colpevole dell’uccisione di Marcella Casagrande,
Renate Rauch e Marika Zorzi, Bergamo negherà fino all’ultimo
di aver massacrato anche Annamaria Cipolletti e Renate Troger. Ma
la Corte di assise di Bolzano, ritenendolo responsabile di tutti e
cinque i delitti, viste le modalità così simili presenti
in ciascuno di essi, nel marzo 1992 lo condannerà all’ergastolo,
pena confermata poi dalla Corte di assise di appello di Trento.
Il killer viene riconosciuto sano di mente al momento degli omicidi,
sebbene la sua sia una personalità fortemente disturbata. «Bergamo
è giunto alla perversione estrema: l’omicidio per godimento”
è scritto nelle perizie degli psichiatri forensi Ponti,
Fornari e Bruno. “Dopo il primo assassinio ha scoperto che
uccidendo appagava il suo piacere e nello stesso tempo distruggeva
l’oggetto temuto e odiato: la donna».
Il processo al “mostro di Bolzano” verrà trasmesso
da Rai Tre nel corso del programma Un giorno in pretura.
Renato Bergamo, il padre padrone, l’uomo tutto d’un pezzo,
non reggerà alla vergogna e all’angoscia per questa spettacolarizzazione
della tragedia che si è abbattuta sulla sua famiglia - la classica
goccia che fa traboccare il vaso - e si toglierà la vita impiccandosi.
giuliana.giani@fastwebnet.it
In uno studio di qualche anno fa l’Istat affermò
che, in Italia, i clienti delle prostitute raggiungono ogni anno una
ragguardevole cifra che si aggira sui sette-otto milioni. Certo le
statistiche vanno interpretate nel modo giusto e gli innumerevoli
rapporti sessuali a pagamento sono spesso ripetuti dagli stessi clienti.
Anche scorporando i dati, resta però il fatto che più
di un nostro vicino ha sicuramente percorso i cosiddetti viali del
vizio per consumare un rapporto sessuale mordi e fuggi. Il maschio
“medio”, viene da pensare, trova più comodo e rilassante
accoppiarsi a una donna che cede il proprio corpo a pagamento, perché
può chiedere ciò che desidera senza infingimenti, e
senza nemmeno dover impiegare certe attenzioni che, in un vero rapporto
sentimentale, sono indispensabili.
I clienti delle prostitute non sono necessariamente maniaci sessuali,
ma di certo una parte piccola o grande di loro può esserlo.
E alcuni possono sfogare i loro istinti sadici e, nei casi estremi,
omicidi, sulle poverette che sono costrette a prostituirsi. È
questo il caso di Marco Bergamo, entrato nell’immaginario popolare
come “il mostro di Bolzano”.
Leone
ascendente Sagittario, ha preso ben poco della generosità e
del calore di entrambi i segni. Nel suo tema natale infatti il Sole
è infatti in ottava casa, quella che presiede le cose nascoste
e dà la voglia di non apparire, di agire dietro le quinte,
oltre a un rapporto tortuoso e complicato con la vita e la morte.
Nell’oroscopo di Bergamo, inoltre, il Sole riceve una quadratura
da Nettuno in Scorpione, aspetto negativo che amplifica certe fissazioni
e paure più o meno inconsce. L’istinto di vita per lui
è fortissimo, come pure quello di morte. Nettuno, a sua volta,
è in trigono a Marte, pianeta della virilità, quest’ultimo
collocato nel sensibile segno del Cancro, e ulteriormente addolcito
da una congiunzione a Venere e Giove.
Le ossessioni nevrotizzanti della personalità di Marco Bergamo
si sfogano nelle fantasie sessuali, che si tingono di sfumature sado-maso,
in giochi perversi – sognati o realizzati – di dominio
o sottomissione. Ma il debole Marte in Cancro non concede a Bergamo
la virilità sufficiente per mettere in pratica le sue fantasie.
Di certo, inoltre, l’asportazione di un testicolo avrà
scatenato in lui dubbi e insicurezze ancora maggiori rispetto alla
propria già precaria virilità, amplificando a dismisura
la paranoia. Le sue difficoltà di erezione, probabilmente di
natura psicologica e non causate da disfunzioni fisiche, gli consentivano
di chiedere soltanto prestazioni orali alle sue partner occasionali
e prezzolate.
Tornando a quel Marte poco efficiente, va aggiunto che il pianeta
forma un aspetto negativo con la Luna nel segno dell’Ariete.
Traducendo dal linguaggio astrologico a quello corrente, la donna
è vissuta dal “mostro di Bolzano” come una nemica,
come un personaggio odiato e incapace di concedere affetto.
Che direbbero Freud e i suoi seguaci? Se un uomo ha problemi con le
donne, cercate di capire che rapporto aveva con la figura materna.
Ammesso che le dichiarazioni di Marco Bergamo nei confronti della
madre siano sincere – e non abbiamo motivo di dubitarne –
va registrato uno scollamento tra l’immagine percepita dal figlio
e quello che effettivamente ha ricevuto da lei, a livello psicologico
ma anche astrologico. Lo psicoanalista spiegherebbe che se un maschio
adulto odia le donne ha certamente avuto un pessimo rapporto con la
genitrice. E l’astrologo è completamente d’accordo.
Nella mente di Bergamo l’immagine della madre era quella di
una persona troppo legata al marito (trigono della Luna in Ariete
al Sole in Leone), e forse distratta da troppe cose per prestare attenzione
al figlio (Luna collocata in terza casa), impulsiva e un po’
virile. La madre, in altre parole - e di conseguenza la donna in generale
- rappresenta la nemica.
Il mondo è però pieno di misogini che mai si sognerebbero
di uccidere o maltrattare il gentil sesso, anche se non amano affatto
le donne e possono giungere a detestarle. Al di là delle predisposizioni
natali, che cosa può allora trasformare un misogino in un “mostro”?
All’epoca del primo delitto, quello della quindicenne Marcella
Casagrande, il tema natale di Marco Bergamo non subiva, paradossalmente,
transiti particolari. Il 3 gennaio 1985 soltanto il Sole in Capricorno
quadrava la sua Luna natale. Si potrebbe quindi ipotizzare “unicamente”
uno scatto di nervi, un momento di malumore sfogato nel più
efferato dei modi. Ma che ha fatto comunque suonare un campanello
d’allarme, perché era un chiaro segnale che qualcosa
non funzionava affatto nella mente di Bergamo, se è arrivato
a uccidere per un semplice rifiuto sessuale da parte della povera
ragazza.
Tutt’altro discorso vale per la catena di delitti del 1992.
In quel periodo Urano e Nettuno in Capricorno si opponevano disastrosamente
al già fragile e paranoico Marte in Cancro dell’assassino.
Le ossessioni di Bergamo sulla sua virilità si fanno pericolose
e, se fino ad allora, aveva rimediato alle sue paranoie con la fantasia
e con rituali feticistici, ora la paranoia si fa devastante, e Bergamo
si scatena contro il suo primo nemico: la donna. E non si accontenta
di ferirla moralmente, di umiliarla, di trattarla come un pezzo di
carne inutile. Deve ucciderla!
Nello stesso periodo, inoltre, Saturno di transito in Aquario si oppone
al Sole natale di Bergamo nel Leone e l’uomo agisce al di fuori
di ogni schema logico, facendosi scoprire subito e finendo dietro
le sbarre.
Termina così l’incubo di Bolzano. Il sole estivo può
tornare a splendere e a riscaldare quell’angolo d’Italia,
mentre il freddo del cuore di Marco Bergamo trova un riparo sicuro
– per lui e per le donne della zona – all’interno
delle mura di un carcere.
La sentenza del Tribunale astrologico
Paranoico, misogino, feticista e impotente, al momento dei delitti
compiuti Bergamo era però perfettamente in grado di intendere
e di volere, anche se in quel periodo era all’apice delle sue
perversioni sessuali ed era tormentato al massimo dall’insicurezza
sulla sua virilità. Ossessioni private e incapacità
a rielaborare i complicati problemi personali l’hanno spinto
a trovare sfogo alle proprie pulsioni negative uccidendo. Oltre al
peso dell’ergastolo che la giustizia terrena gli ha comminato,
c’è quello del suicidio del padre, che suona come una
terribile condanna nei suoi confronti. Ci auguriamo che l’uomo
che massacrava donne incolpevoli perché incapace di affrontare
i propri problemi sessuali riesca, con l’aiuto di terapeuti
qualificati, a uscire dal nero tunnel di odio e disprezzo nei confronti
del mondo femminile. Perché questo odio e questo disprezzo
sono le sbarre di una prigione dalla quale sarebbe impossibile uscire,
a meno che Marco Bergamo non cambi dentro la sua mente e il suo cuore,
anche se le porte del carcere in muratura, dove l’hanno rinchiuso
i giudici, dovessero aprirsi un giorno.
massimomichelini1@virgilio.it