Rina Fort - Io voglio essere
amata
Se
è vero, come dice il proverbio, che chi ben comincia è
a metà dell’opera, dovrebbe valere anche l’opposto:
partire con il piede sbagliato, nella vita, porta quasi sempre alla
sconfitta.Quasi, perché c’è chi, per fortuna,
riesce a fare leva sui propri punti forti e neutralizzare la negatività
di quelli deboli. E imparare dagli errori commessi. Oppure, come nelle
fiabe dove la protagonista è una fanciulla sfortunata, sconfiggere
l’incantesimo lanciatole da una fata malvagia o trionfare su
una perfida matrigna. Con l’aiuto, si intende, del mitico Principe
Azzurro: bello, ricco, innamorato. I due vivranno per sempre “felici
e contenti” e, anche se questo gli scrittori di favole non lo
dicono, è lecito supporre che la loro unione sarà allietata
da bambini bellissimi, teneramente amati.
C’era un Principe Azzurro nei sogni giovanili di Caterina Fort,
nata a Santa Lucia di Budoia, in Friuli, il 28 giugno 1915 all’1.30?
Sicuramente sì, perché questo archetipo appartiene all’inconscio
femminile collettivo, tanto più se infanzia e adolescenza sono
state amare. Caterina, detta Rina, viene al mondo in piena Grande
Guerra, in una famiglia povera, in un paese dal quale si è
costretti a migrare perché la miseria è tanta. A tre
anni perde la nonna, da lei molto amata, a dieci il padre, che si
sfracella sotto i suoi occhi cadendo da un sentiero di montagna. Morirà
anche il suo primo amore, un ragazzo malato di tisi, con il quale
lei avrebbe voluto costruirsi un futuro a Milano, dove già
viveva la sorella Anna, portiera in uno stabile. Lascerà invece
il suo paese solo dopo il fallito matrimonio, a ventidue anni, con
il contadino Giuseppe Benedet, che darà segni di follia la
prima notte di nozze e verrà rinchiuso in manicomio di lì
a poco.
Così la descrive Cinzia Tani, nel suo libro Assassine
(Mondadori 1998, pag. 364): «A vent’anni era una ragazza
piacente, con una bella faccia schietta incorniciata da pesanti capelli
neri e un corpo robusto, dall’ossatura grossa e maschile, ma
morbido e accogliente. La sua presenza diffondeva vitalità,
dinamismo. Aveva slanci di generosità e rabbie incontenibili,
passioni improvvise, totalizzanti, e vendette feroci. Rendendola sterile
la natura le aveva impedito di realizzare il suo più bel sogno,
avere dei bambini, e così l’amore di cui il suo cuore
traboccava rimase inespresso».
Arrivata nella metropoli lombarda Caterina Fort inizia a lavorare,
prima come domestica poi come commessa di negozi. Qui conosce Giuseppe
Ricciardi, un «uomo alto e segaligno, con due sottili baffetti
neri e l’aria del seduttore» (op. cit. pag. 364). Ricciardi
è un siciliano dal sangue caldo, cui piacciono le belle donne,
e non si è mai fatto mancare compagnie femminili, mentre Franca
Pappalardo, la moglie, attende paziente, giù a Catania, con
i bambini, di raggiungerlo a Milano. A Rina, che assume nel suo negozio
di tessuti e cascami, in via San Gregorio al numero 40, Ricciardi
fa però credere di essere scapolo. La verità verrà
presto a galla, ma a Rina pare importi poco: finché la famiglia
del suo Peppino è in fondo allo Stivale, loro due sono liberi
di amarsi. La Fort è anche brava sul lavoro, ci sa fare con
i clienti. Tutto, insomma, sembra filare per il meglio. Ma un giorno,
messa in allarme dalle voci che continuano a giungerle sul conto del
consorte infedele, e venuta a conoscenza della tresca con la Fort,
Franca Pappalardo fa le valige e piomba a Milano con i tre piccoli.
È l’ottobre del 1946. Pretende che il marito licenzi
la commessa friulana e lui obbedisce. Rina trova un altro posto, in
una pasticceria poco lontana da via San Gregorio ma continua a vedere
di nascosto l’amante.
Tutto sistemato, dunque? Franca ne è convinta: non sa che le
resta poco tempo da vivere, e che l’ombra della Morte si sta
allargando anche sui piccoli figli. In una mattinata fredda e umida
del 30 novembre 1946, dopo avere bussato a lungo alla porta dell’appartamento
dei Ricciardi, per farsi dare le chiavi del negozio da aprire, la
nuova commessa, che ha sostituito Caterina Fort, apre la porta che
è socchiusa e si sente venire meno. Nella camera da pranzo,
in terra e a faccia in giù, in una pozza di sangue, c’è
il corpo senza vita della signora Pappalardo e quello di Giovanni
(7 anni), il figlio maggiore. Giuseppina (5) e il piccolo Antonio
8 mesi), sono in cucina. Uccisi, tutti e quattro, a colpi di spranga.
Antonio che ha meno di un anno, è riverso sul seggiolone dove
poco prima stava prendendo la pappa.
Sul Nuovo Corriere della Sera del 1 dicembre 1946, a pagina
2, esce un articolo dal titolo “Massacrati in via San Gregorio
una madre con tre figliuoletti”. L’opinione pubblica è
sconvolta, anche se Milano, all’epoca, è una città
che si sta avviando faticosamente verso la sua ricostruzione, dopo
le bombe che hanno distrutto case, averi, impianti industriali, insanguinata
da omicidi politici e crimini della malavita le cui imprese riempiono
spesso le cronache dei giornali. Lo scrittore Dino Buzzati, all’indomani
del ritrovamento dei cadaveri e del fermo della Fort, scriverà
sul Nuovo Corriere: «Una specie di demonio si aggira dunque
per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo
sangue. L’altra sera noi eravamo a tavola per il pranzo quando
poche case più in là una donna ancora giovane massacrava
con una spranga di ferro la sua rivale e i suoi tre figlioletti.»
Gli inquirenti sono arrivati infatti quasi subito alla Fort, l’ex
commessa nonché amante del Ricciardi. Vanno a prelevarla nella
pasticceria dove lavora e la portano in Questura per interrogarla.
Lei, infagottata in un lungo cappotto, appare calma, padrona di sé.
Risponde in modo educato alle domande sempre più incalzanti
dei poliziotti. Le prove per incriminarla non ci sono proprio e sarebbe
probabilmente riuscita a farla franca, ma è proprio vero che
il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Alla fine del secondo
giorno il commissario nota infatti sul cappotto della Fort delle macchioline
scure: sono macchie del sangue di Franca Pappalardo che, insieme alla
ciocca di capelli neri rivenuti nel pugno chiuso dell’uccisa,
inchiodano definitivamente l’assassina. Quest’ultima respinge
in un primo tempo le accuse, gettando la colpa su personaggi misteriosi
e fantasmagorici, e giura che ha solo assistito al triplice omicidio.
Confesserà dopo diciassette interrogatori di settanta ore complessive,
tranne ritrattare in seguito.
Durante
gli interrogatori fiume cui viene sottoposta, Rina fornirà
ben sette versioni diverse dei fatti agli inquirenti. L’ultima
chiama in causa un tale Carmelo che, secondo lei, l’ha costretta
ad accompagnarlo in casa Ricciardi per convincere la signora Franca
a farsi derubare: un furto simulato, in poche parole, che Giuseppe
Ricciardi avrebbe ideato perché gli affari gli andavano male
e aveva i creditori alle costole. In seguito, ceduto il magazzino,
venduta in blocco la merce e liquidati i creditori, lui e l’amante
sarebbero espatriati in Francia. Ma, sempre secondo la Fort, scoppia
una lite furibonda tra Franca e Carmelo, che prima ammazza lei e poi
i bambini. Il ruolo di Rina nell’odioso delitto? Solo quello
di spettatrice sconvolta, colpevole, questo sì, di avere dato
un colpo in testa alla Pappalardo, che giace a terra dopo il violento
pugno sferratole da Carmelo, senza però ucciderla. Lo farà
lui, con una spranga di ferro.
Tutte bugie, per gli inquirenti. E alla fine la Fort crolla e confessa.
Sul solito Nuovo Corriere uscirà, il 4 dicembre, un titolo
a caratteri cubitali: «Li ho ammazzati tutti io», Caterina
Fort ha firmato il verbale di confessione.
Nella perizia psichiatrica svolta dal professor Saporito, l’imputata
è descritta come una persona sana di mente e di una intelligenza
superiore alla media. Condannata in prima istanza all’ergastolo,
dopo un breve soggiorno a San Vittore Rina viene trasferita nel carcere
di Perugia. Altro processo nel 1951, davanti alla Corte di Assise
di Bologna: ergastolo confermato il 9 aprile 1952 e successivamente
nel 1953 dopo il ricorso in Cassazione. Da Perugia Rina Fort sarà
trasferita, per motivi di salute, a Trani e poi a Firenze. In una
delle numerose lettere che invierà al suo legale c’è
una frase inquietante: «Non è la quantità della
pena che mi spaventa. C’è una parte del delitto che non
ho commesso e non voglio». E in un’altra: «Non sono
troppo allegra: ho desiderio di piangere; non ci sono più nella
nostra ‘casa’ neanche i bambini; i miei piccoli amici
hanno a poco a poco superato i due anni; sono stati tolti alle loro
mamme e passati in collegio. Il nido è morto! I bambini sono
la cosa più bella, più pura, più meravigliosa
del mondo: che felicità serrare tra le braccia un corpicino
che sa di latte e di fiori, che ti si stringe fiducioso addosso».
Il 12 febbraio del 1975 Rina Fort ottiene la grazia per buona condotta
dal presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Muore di infarto
nel 1988, all’età di 73 anni. Pochi mesi prima era morto
a Catania Giuseppe Ricciardi, che si era nel frattempo risposato e
aveva avuto un figlio.
giuliana.giani@fastwebnet.it
L’istinto primario del Cancro, quello più
profondo e ineluttabile, lo spinge a difendersi creando intorno a
sé una fitta rete di protezione, costituita di solito dalla
famiglia d’origine oppure da quella acquisita con il matrimonio.
Il maschio del segno preferisce di norma farsi difendere dalla mamma,
la figura più importante del suo mondo interiore: che può
adorare o respingere, ma che condiziona comunque la sua vita affettiva
adulta. Aspira inoltre a essere coccolato e accudito da tutte le rappresentanti
dell’altra metà del cielo: sorelle, cugine, amiche, amanti,
vecchie zie premurose e via discorrendo. La donna del Cancro, come
quella del Toro, cerca l’Amore con la A maiuscola, che per lei
significa un compagno fedele e affettuoso, possibilmente ben fornito
di mezzi economici, ma soprattutto i figli, perché diventare
madre è la sua aspirazione più grande. Certo, esistono
anche donne del Cancro felicemente single, artiste e bohèmienne,
che non si sognerebbero mai di rinunciare alla propria libertà
per accudire un marito e dei pargoli, ma per la maggior parte di loro
il nucleo familiare è essenziale per sentirsi appagate.
E
questo cercava anche Rina Fort, Cancro con Ascendente Toro, che nel
suo disperato e folle tentativo di farsi una famiglia, purtroppo con
l’uomo sbagliato, ha ucciso con ferocia inaudita la moglie dell’amante
e i suoi tre figlioletti.
Nessuno potrà mai dire se l’efferato gesto fu premeditato
oppure frutto di un raptus. La stessa Fort, nel corso del processo
per gli omicidi, non riuscì mai a fornire una versione convincente
e attendibile di quanto era accaduto. Cercò anzi, svariate
volte di scaricare la colpa su personaggi misteriosi e fantasmagorici,
e solo una volta confessò quel che era avvenuto, ossia che
lei, solo lei, aveva commesso la strage. Ma mentre uccidere la rivale,
Franca Pappalardo, dovette sembrarle tutto sommato accettabile, i
suoi valori Cancro-Toro continuarono presumibilmente a ribellarsi
all’idea che era stata capace di massacrare tre piccoli innocenti.
Non stupisce quindi quel suo grido disperato nel corso del processo,
iniziato a Milano il 10 gennaio 1950: «Non è vero! Non
ho ucciso i bambini! I bambini no!»
Al di là di quello che ha stabilito la giustizia terrena –
che la giudicherà capace di intendere e di volere, quindi colpevole
senza attenuanti – l’astrologia può fornire un’interessante
chiave di lettura sul carattere di quella che passerà alla
storia del crimine come la “belva di via San Gregorio”
nonché sulle motivazioni profonde del suo comportamento.
Rina Fort aveva di certo una personalità forte, egocentrica,
protagonistica, indicata nel suo tema natale dalla potente congiunzione
tra Sole, Mercurio, Saturno e Plutone, tutti in Cancro. Io, io, io,
ci sono solo io, e voglio che il mondo giri intorno a me, è
ciò che suggerisce questo accumulo di pianeti a cavallo tra
seconda e terza casa, mentre la ferrea volontà di realizzare
i propri obiettivi, costi quello che costi, e di sopraffare gli altri,
è indicata da un aggressivo Marte in Toro in prima casa. Tendenza,
questa, ulteriormente ribadita dalla Luna in nona casa e nel duro
segno del Capricorno, guarda caso dominato proprio da Marte, l’astro
della violenza. È però una Luna che non forma aspetti
con altri pianeti e, anziché rappresentare un punto di forza
si trasforma in elemento di debolezza. «Per una donna, questa
Luna scarsamente femminile è un elemento di razionalità
e di equilibrio, ma anche di freddezza e di possibile frustrazione
nello sviluppo armonico della personalità» (Lisa Morpurgo,
Introduzione all’astrologia, Longanesi 1982, pag. 122).
Questa Luna, spesso sorda alle emozioni più vere, si concentra
sulla realizzazione pratica di un progetto piuttosto che sulle
vibrazioni interiori che sono l’humus da cui trae nutrimento
il cosiddetto eterno femminino.
La Luna in Capricorno della Fort, isolata in casa nona, testimonia
inoltre una insormontabile difficoltà a stabilire un contatto
vero con le altre donne, viste soprattutto come rivali, perché
possono rappresentare un intralcio alla volontà di dominare
le situazioni, anche sentimentali, del soggetto.
L’unica volta in cui, durante uno degli interrogatori degli
inquirenti, Rina Fort ammise pienamente la sua responsabilità
negli omicidi di Franca Pappalardo e dei suoi figli, disse che si
era recata nell’appartamento di via San Gregorio 40 per convincere
l’“altra” a lasciarle il marito, il suo Peppino,
che voleva tutto per sé. Ed è nel momento in cui la
moglie tradita si ribella, appigliandosi ai suoi diritti di legittima
consorte, e dice alla rivale di farsi da parte, che in quest’ultima
scatta la furia omicida.
Anche se Rina ritrattò in seguito l’assassinio dei bambini,
attribuendoli ai soliti fantomatici personaggi, prima di tutto il
famoso Carmelo, è difficile credere che le cose siano andate
così.
La sera dell’omicidio, il 29 novembre del 1946, per ironia un
venerdì, giorno dedicato a Venere, la dea dell’amore,
il pianeta più stimolato nel tema natale della Fort era Urano,
che rappresenta la decisione immediata, spesso non premeditata, e
la capacità di portare a termine in tempi brevissimi quanto
ci si è prefissi in quell’istante. Urano, quel giorno,
si trovava a 20 gradi dei Gemelli, segno che rafforza il carattere
pratico-opportunistico del pianeta. Rina Fort si è mostrata
del resto sempre molto concentrata sul presente e sul futuro, piuttosto
che su quella ineguagliabile valvola di sicurezza emotiva che è
il rifugio nel passato: diversa, in questo, dalla donna e dall’uomo
Cancro tipici, che adorano ritornare con la memoria al tempo che fu.
Non per niente l’autore de Alla ricerca del tempo perduto,
Marcel Proust, era nato sotto questo segno. La cosa non deve tuttavia
stupire dal momento che l’Urano di nascita della Fort è
in Aquario, e la sua Venere nei Gemelli: qualsiasi cosa, insomma,
va sbrigata velocemente per poi passare ad altro.
Un
celebre filosofo anche lui del Cancro, Giambattista Vico, ideò
la teoria dei corsi e ricorsi storici applicata ai grandi eventi dell’umanità,
che comportano una fase di barbarie, un raggiungimento della maturità
e infine un ritorno alla primitiva fase barbarica. Ma ai corsi e ricorsi
storici si accompagnano anche quelli di ogni singolo uomo o donna,
e questo spiega perché spesso e volentieri si ricade negli
stessi errori, e dopo avere conosciuto il successo si precipita in
basso. In altre parole, dalla polvere agli altari e viceversa. Perciò
è solo comprendendo davvero il passato che si può uscire
da questo circolo vizioso. Il Cancro di solito questo lo sa molto
bene, perché alla prima difficoltà si rifugia nei suoi
ricordi, rimugina sugli eventuali sbagli commessi, riscopre i suoi
punti deboli ma anche quelli forti, che gli hanno permesso di trarsi
d’impaccio in svariate circostanze.
Rina Fort è stata, per così dire, un Cancro atipico,
perché i pianeti signori del suo segno, la Luna e Venere, collocati
rispettivamente in Capricorno e in Gemelli indicano – oltre
a una scarsa sensibilità – una femminilità che
si realizza nell’oggi, incapace di attingere, ed è bene
sottolinearlo ancora una volta, a quella inesauribile fonte di saggezza
rappresentata dal passato.
Rimane comunque sempre, nel sottofondo, il bisogno di amore che qualsiasi
essere umano, e a maggiore ragione una cancerina, per quanto atipica,
ha iscritto nel suo DNA. Dominatrice da un lato (Luna in Capricorno)
e capace di sedurre con estrema facilità dall’altro (Venere
in Gemelli), la Fort si illuse di avere trovare in Giuseppe Ricciardi
l’uomo giusto – dopo alcuni incontri poco felici –
con il quale potere costruire una famiglia, trovando finalmente il
porto sicuro dove ancorare la barca della sua vita. Sapeva, però,
che non avrebbe mai potuto dare altra prole all’amante. Dal
dolore all’invidia e alla rabbia nei confronti della rivale,
che di figli ne aveva sfornati tre, il passo è stato breve.
La psiche umana è a volte un garbuglio confuso di emozioni
contrastanti e alzi la mano chi, in un momento di rabbia, non ha mai
augurato la morte a un suo simile, dal coniuge detestato al capo tiranno.
Ma quanti poi passano dal dire al fare? Pochi, pochissimi, per fortuna
dell’umanità intera. Rina Fort, probabilmente in un momento
di rabbia, superò la soglia del proibito, annientando quanti
rappresentavano un ostacolo tra lei e il raggiungimento di quella
che credeva la felicità.
Nei lunghi anni che trascorse in carcere dopo la condanna, e nonostante
la lettera all’avvocato sul suo amore per i bambini, la Fort
non manifestò mai alcun segno di pentimento per l’assassinio
dei piccoli Ricciardi. Cosa del resto logica, dal momento che negava
di averli ammazzati lei, sebbene le prove fossero più che schiaccianti:
il Toro, segno del suo Ascendente e del suo Marte, è probabilmente,
dopo l’Ariete o forse addirittura prima, il segno più
ostinato dello Zodiaco.
Sorge inoltre il dubbio che, a causa del suo Giove in Pesci in dodicesima
casa, e in aspetto negativo con Plutone, si sentisse sfortunata e
avesse la tendenza a commiserarsi. Del resto, con l’arida Luna
in Capricorno che si ritrovava, non le riuscì di fare quello
che di solito riesce così bene a un Cancro verace, ossia farsi
proteggere. Li ebbe invece tutti addosso, compreso il suo Peppino.
Che dopo l’arresto di lei dichiarò che Rina era una pazza
isterica, una con tantissimi problemi psicologici, che aveva visto
nella loro storia l’ultima zattera cui aggrapparsi per non affogare,
e che non sopportando di essere stata scaricata anche dal Ricciardi
si era vendicata uccidendogli la moglie e i figli.
La sentenza del Tribunale astrologico
Violenta, egocentrica e anaffettiva: è davvero difficile trovare
una giustificazione di qualsiasi tipo per questa donna. E non solo
a causa degli efferati delitti, commessi quasi di certo in un momento
di rabbia estrema, ma soprattutto per l’assoluta l’incapacità
di elaborare emotivamente quanto aveva fatto. Rina Fort ha purtroppo
preso dal Cancro, il suo segno zodiacale, soltanto i peggiori difetti,
ossia egocentrismo, infantilismo e narcisismo, soltanto i peggiori
difetti, mentre le è mancata del tutto la più bella
qualità del segno: la sensibilità per i sentimenti,
gli affetti, la famiglia e i figli. Amava i bambini? Così ha
sempre giurato. E forse, lasciamo un interrogativo in sospeso, se
ne avesse avuti di suoi sarebbe stata una brava madre. Ma i figli
li aveva fatti l’“altra”, la detestata rivale, e
questa era una cosa intollerabile, un’offesa al suo narcisismo,
un’offesa da lavare con il sangue. Rina Fort voleva l’amore,
ma non era in grado di procurarselo. Cercava il paradiso e ha trovato
invece l’inferno.
massimomichelini1@virgilio.it
Questo articolo è apparso
una prima volta su M-Rivista del mistero nel dicembre 2007