Stupro, uccido e mi piace da
morire: Ted Bundy
Quando
la ventunenne Eleanor Louise Cowell scopre di essere incinta, il padre
del bambino l’abbandona. Avere un figlio senza essere sposate è uno
scandalo nella puritana Philadelphia degli anni Quaranta. Inoltre
i genitori di Louise, come viene chiamata, sono persone molto religiose.
Il 24 novembre 1946 alle 22.35, nella Elizabeth Lund Home, una casa
di accoglienza per ragazze madri del Vermont, Louise darà alla luce
un maschio che verrà registrato con il nome di Theodore (Ted) Robert
Cowell.
In un primo momento lei decide di dare il neonato in adozione e lo
lascia per tre mesi alla Elizabeth Lund Home, poi cambia idea e torna
dai suoi con il neonato, che sarà fatto passare per il “fratellino”
di Louise, figlio cioè dei Cowell.
Ted cresce chiamando papà quello che è in realtà è suo nonno, e gli
si affeziona moltissimo. Ma quando ha quattro anni, lui e la madre
si trasferiscono a Tacoma, nello stato di Washington. Il distacco
dal “nonno - padre” sarà molto doloroso per il bambino. Nel 1951 Louise
si sposa con un bravo ragazzo, di professione cuoco, Johnnie Culpepper
Bundy, che adotterà Ted dandogli il suo cognome.
Dal matrimonio con Bundy Louise avrà altri quattro figli, ma Ted resterà
il figlio prediletto. Ted è un adolescente timido e studioso, che
lega poco con i coetanei. Piace però alle ragazze perché è, come si
direbbe oggi, un vero figo, sempre ben vestito e di ottime maniere.
Un episodio getterà tuttavia un’ombra sulla figura del futuro serial
killer, quando è ancora minorenne: la polizia lo accusa di essere
coinvolto in un furto d’auto e in una rapina. Non finisce in carcere
ma il suo nome viene schedato, anche se questi dati verranno cancellati
al raggiungimento della maggiore età, in modo che la sua fedina penale
risulti pulita.
Conseguito il diploma liceale nel 1965 Ted Bundy ottiene una borsa
di studio per l’Università di Puget Sound, a Tacoma, e l’anno successivo
si iscrive alla Washington University. Qui conosce Stephanie Brooks,
una bellissima e ricca ragazza di San Francisco, con i capelli lunghi
e scuri portati con la riga in mezzo. Il più innamorato dei due è
Bundy: Stephanie è il suo ideale di donna. Pur essendo attratta sessualmente
da Ted, Stephanie lo considera inadeguato come compagno di vita. Lui
passa da un lavoro all’altro, per mantenersi agli studi, e non appartiene
all’ambiente chic da cui proviene lei. Belli i week end sulle nevi
del Vermont, e le cenette romantiche (Ted, oltre a essere un ottimo
sciatore e un provetto velista, è un raffinato gourmet che sa scegliere
il vino giusto al ristorante), ma per farne un marito alla sua altezza
ci vuole ben altro. La differenza di status sociale tra i due giovani
porrà fine alla love story.
Nella primavera del 1969 Bundy viene lasciato da Stephanie, e come
se non bastasse c’è lo choc della scoperta delle proprie origini.
Dalle ricerche eseguite negli archivi di Philadelphia viene a sapere
che Louise non è sua sorella maggiore ma è sua madre, e né Johnnie
Bundy né l’amato nonno Cowell sono suo padre: lui, in realtà, un padre
non lo ha mai avuto.
Il 1969 porta però anche una cosa bella: l’incontro con Meg Anders,
una giovane divorziata che si è trasferita a Seattle con la sua bambina
di tre anni per rifarsi una vita. La relazione con Meg - che è di
ottima famiglia - durerà sette anni, anche se lui continuerà ad avere
storie di sesso con altre ragazze. Meg sogna di sposare l’uomo del
quale è innamoratissima, e che aiuta economicamente. E poi apprezza
il modo affettuoso con cui Ted tratta la bambina, quasi fosse sua.
Ma lui nicchia, adducendo pretesti vari, e continua a vivere in una
stanza in affitto anche se trascorre molte notti nell’appartamento
della Anders. Inoltre, e questo lei lo ignora, Bundy continua ad avere
contatti epistolari e telefonici con la mai dimenticata Stephanie.
Nel 1971, grazie agli studi di psicologia, Bundy viene assunto come
impiegato dalla Crisis Clinic di Seattle, un centro di aiuto
a persone disadattate. Qui conosce la scrittrice criminologa Ann Rule,
più grande di lui, che lavora nella stessa struttura come volontaria.
Tra i due nasce una profonda amicizia che durerà negli anni, anche
dopo la scoperta traumatizzante di Ann che il suo amico Ted - gentile,
premuroso, sempre pronto ad aiutare gli altri - è in realtà un feroce
serial killer di giovani donne. Ann Rule è l’autrice del libro Un
estraneo al mio fianco (TEA, 2003) che racconta nei dettagli
la vita di Bundy e il suo complicato iter criminale.
Dopo la facoltà di psicologia l’irrequieto Ted passerà a quella di
legge, iscrivendosi nel 1973 ancora all’Università di Puget Sound
a Tacoma. Si iscrive anche al partito repubblicano e trova lavoro
come assistente di Ross Davis, presidente del partito repubblicano
dello Stato di Washington. Lo stipendio mensile è di mille dollari,
più di quanto Ted abbia mai guadagnato. Davis ha una grande stima
per Bundy che ricorderà come un ragazzo “brillante, grintoso in modo
incredibile e profondamente convinto della validità del sistema”.
Un cittadino modello, insomma, che frequenta i circoli politici del
suo partito, conosce la gente che conta, e compie numerosi viaggi
di propaganda elettorale per Davis. Nel corso di uno di questi, a
fine estate 1973, Ted rivede Stephanie a San Francisco. La storia
d’amore riprende ma questa volta è lei a volersi impegnare seriamente.
Questo Bundy sicuro di sé, che vanta amicizie importanti e la può
ora portare nei locali di lusso, appare finalmente a Stephanie come
un potenziale marito degno di attenzione. A dicembre la Brooks vola
a Seattle, trascorre le feste di fine anno con Ted che però le riserverà
un’amara sorpresa. Da amante appassionato si è trasformato di colpo
in un ghiacciolo: la tratta con distacco, sembra aver perso qualsiasi
interesse per lei. Stephanie è sconvolta, chiede spiegazioni, ne ottiene
in cambio uno sprezzante silenzio. La rottura definitiva tra i due
avviene all’inizio del nuovo anno. Ed è a partire da questa data che
inizierà la serie degli orrendi delitti compiuti da Bundy.
Il 4 gennaio 1974 Joni Lenz, 18 anni, che vive con due amiche nel
seminterrato di una vecchia casa di Seattle viene trovata coperta
di sangue e in stato di incoscienza nel suo letto. L’hanno picchiata
con una sbarra di ferro che è stata poi infilata nella vagina provocando
danni terribili agli organi interni. Joni sopravviverà, ma con la
vita rovinata per sempre. A febbraio sarà il turno di Lynda Ann Healy,
21 anni, una ragazza alta e snella, con capelli castani che le arrivano
alla vita, divisi da una riga. Lynda divide un appartamentino con
altre quattro studentesse. Il suo letto è intriso di sangue, come
pure la sua camicia da notte, ma lei non si trova. Il killer è fuggito
con il corpo.
Mentre la polizia di Seattle tenta di risolvere il caso della scomparsa
di Lynda, il 12 marzo 1974 in un campus di Olympia, capoluogo dello
Stato di Washington, scompare la diciannovenne Donna Gail Manson.
Il 17 aprile Susan Elaine Rancourt, una biondina con gli occhi azzurri
sparisce da un College di Ellensburg, una città situata a 200 chilometri
da Seattle. Alcune studentesse, interrogate dalla polizia, raccontano
di essere state avvicinate da un bel ragazzo alto, sui vent’anni,
con un braccio al collo, che faticava a reggere numerosi libri, e
aveva chiesto a una di loro di aiutarlo a portarli nella sua auto,
un Maggiolino Volkswagen arancione. Ma lei, giunta all’auto, si era
insospettita vedendo che mancava il sedile del passeggero. Ed era
fuggita.
Il panico comincia a diffondersi tra le studentesse dei campus universitari.
Gli inquirenti brancolano nel buio. Si cerca, senza alcun esito, il
Maggiolino arancione, e il “bel ragazzo sul metro e ottanta” che è
stato visto con un braccio ingessato (trucco cui Bundy ricorrerà svariate
volte per attirare la vittima di turno). Il 6 maggio tocca a Kathy
Parks, che vive in un campus universitario a Corvallis, 400 chilometri
a sud di Seattle. Il 1 giugno scompare Brenda Carol Ball, 22 anni,
anche lei studentessa universitaria. L’uomo cui gli agenti stanno
dando la caccia continua a restare un fantasma: colpisce, fugge, ritrovano
il segno del suo passaggio a chilometri e chilometri di distanza da
Seattle.
Il 10 giugno sparisce nel nulla Georgeann Hawkins, una graziosa diciottenne
dai lunghi capelli castani con la solita riga nel mezzo, anche lei
ospite di un campus di Seattle. Uno studente riferirà alla polizia
di avere incontrato un uomo alto e di bell’aspetto con le stampelle,
accompagnato da una ragazza che gli reggeva una valigetta. Ma non
era Georgeann. Però questa testimonianza sarà preziosa perché verrà
collegata a quella relativa alla scomparsa di Susan Rancourt, riguardante
l’uomo con il braccio al collo.
All’inizio di quella estate del 1974 l’opinione pubblica è ormai informata
su quella serie di “sparizioni“, e la gente è in preda al panico.
Tra le ragazze diminuisce la pratica dell’autostop, così abituale
negli Usa, mentre confrontando i dati delle giovani scomparse gli
inquirenti arrivano a stabilire un identikit del tipo di donna vittima
del misterioso killer. Tutte hanno i capelli lunghi con la riga in
mezzo, sono di razza bianca, risultano dal loro curriculum più intelligenti
della media, vengono da famiglie solide che le amano, sono single.
Come non pensare a Stephanie Brooks, il primo amore di Ted Bundy?
E arriviamo al 14 luglio 1974, una calda domenica con il cielo azzurrissimo.
Sulle rive del Lake Sammamish State Park, 18 chilometri da Seattle,
tra distese di prati fioriti e alberi, migliaia di persone si contendono
un fazzoletto di terra per stendersi al sole, fare un picnic, chiacchierare
con gli amici. Altre si dedicano alla vela. Un uomo si aggira nella
folla: alto, giovane, snello, maglietta, calzoncini da tennis e scarpe
da ginnastica bianchi, un braccio al collo. Nel parcheggio c’è un
Maggiolino metallizzato. L’uomo è Ted Bundy.
Janice Ott, 23 anni, sta pensando al marito sposato un anno prima,
che è lontano per lavoro in California. Sono una coppia innamoratissima:
la sera di quella domenica lui aspetterà invano la chiamata della
moglie. Janice, che è venuta in bicicletta e ha paura che gliela rubino,
accetta di seguire il fascinoso sconosciuto vestito di bianco che
le propone di mettere la bici nel portabagagli della sua auto. Nessuno
la rivedrà viva.
La seconda vittima è la diciottenne Denise Naslund, che sta trascorrendo
la domenica al lago in compagnia del suo ragazzo e di un’altra coppia.
Verso le quattro del pomeriggio Denise si allontana per recarsi in
uno dei bagni pubblici del luogo. Non farà più ritorno. I detective
non hanno ormai più dubbi: quello che è accaduto deve essere opera
di uno psicopatico affetto da turbe sessuali. La caccia si intensifica
sempre più.
Osservando il disegno dell’identikit dell’uomo vestito di bianco,
diffuso dai media all’indomani della tragica domenica al Lake Sammamish
State Park, Meg Anders, la compagna di Ted, è colta da un atroce sospetto.
Una sua amica, alla quale Bundy non è mai piaciuto, la incita a parlare
con i poliziotti dei suoi dubbi, ma Meg si rifiuta. Sa che Ted a inizio
settembre partirà per Salt Lake City, nello Utah, per iscriversi alla
locale Università e ha paura che si sia stancato di lei. Nel corso
dell’estate i loro rapporti sessuali sono infatti cessati. Ted adduce
la scusa della stanchezza e di “frustrazioni interiori”, ma per Meg
ci sono di mezzo altre donne. Donne però che immagina oggetti di piacere
e nient’altro per il “suo” Ted. E invece l’orrore sta per emergere
alla luce.
I primi resti umani delle vittime di Ted Bundy verranno scoperti a
fine estate da alcuni addetti alla manutenzione delle strade, a pochi
chilometri dal Lake Sammamish State Park. Due di loro vengono identificate:
sono Janice Ott e Denise Naslund. Ma dal momento che vengono rinvenuti
cinque femori e altre ossa, e la zona è battuta dai coyote, è presumibile
che in quel luogo siano sepolti altri corpi.
Ma torniamo al camaleontico Ted, che troviamo ora sistemato in un
vecchio appartamento di Salt Lake City. Trova lavoro, ironia della
sorte, come agente di sicurezza del campus universitario.
La sera del 18 ottobre 1974, la diciassettenne Melissa Smith, figlia
del capo della polizia di Midvale, una cittadina a sud di Salt Lake
City, esce di casa per raggiungere un’amica in pizzeria. Nove giorni
dopo il suo corpo verrà ritrovato a parecchi chilometri di distanza,
tra le Wasatch Mountains. L’hanno strangolata con una delle sue calze
con tanta violenza da spezzarle l’osso ioide. Inoltre è stata violentata
e sodomizzata.
Nella notte di Halloween del 31 ottobre a Lehi, a una quarantina di
chilometri da Midvale, scompare Laura Aime, una bella ragazza alta
e magra, con i soliti lunghi capelli divisi da una scriminatura. La
ritroveranno a fine novembre degli escursionisti che stanno attraversando
un canyon. Laura è stata strangolata dopo aver ricevuto un violento
colpo alla testa, violentata e sodomizzata come Melissa Smith.
Un’amica di Meg Anders, Lynn Banks, cresciuta come lei nello Utah,
ma residente a Seattle, al ritorno da una visita ai genitori, dopo
aver letto delle due donne assassinate, convince Meg a parlare con
la polizia dei loro sospetti su Ted. Cosa che lei finirà per fare.
Le sue informazioni su Bundy - anche se comprensibilmente lacunose
- si uniranno ad altre segnalazioni fornite alle forze dell’ordine,
che fanno comunque di Ted, per il momento, un semplice sospettato
in una lunghissima lista di presunti assassini denunciati alle autorità.
E arriviamo all’8 novembre1974.
La diciottenne Carol DaRonch, impiegata in una società telefonica,
si reca con la sua auto nella cittadina di Murray per fare shopping.
Mentre sta girando in una libreria viene abbordata da un bel ragazzo
elegante, capelli castani ondulati e baffi. Spacciandosi per un poliziotto
in borghese l’uomo la invita a seguirlo al parcheggio dove Carol ha
lasciato l’auto per verificare che nessuno l’abbia aperta per rubare.
Dice che un altro automobilista ha denunciato un tentativo di scasso
ai danni della macchina di Carol - nel frattempo si è fatto dare il
numero della targa - e invita la ragazza a seguirlo per verificare
che tutto sia a posto. Dall’auto, dice lei, non manca nulla, ma il
sedicente poliziotto, che dichiara di essere l’“agente Roseland” insiste
per accompagnare Carol alla Centrale di polizia, e la fa salire sulla
sua di auto, un vecchio e ammaccato Maggiolino. La ragazza capisce
che è caduta in una trappola e tenta di saltare giù dall’auto. L’uomo
le ammanetta i polsi e la minaccia con una pistola: «Se non la smetti
di urlare ti uccido». Carol ricade all’indietro, finisce sull’asfalto.
Lui tenta di colpirla alla testa con una specie di piede di porco,
lei riesce a sferrargli un calcio all’inguine e corre via, scossa
dai singhiozzi, e in preda al panico, finché una coppia in auto si
ferma e la raccoglie, accompagnandola poi al posto di polizia dove
Carol racconterà la brutta avventura.
Ma Ted Bundy rimane sempre uccel di bosco, nonostante il cerchio si
stia stringendo intorno a lui. Troppo lentamente, ahimè. Prima di
essere fermato ucciderà ancora e ancora. Fallito l’attacco a Carol
DaRonch, il Maggiolino scassato riparte subito per una nuova caccia.
Debby Kent, una diciassettenne dai lunghi capelli castani e la solita
riga in mezzo, che vive con la famiglia a Bountiful, una cittadina
dello Utah, sparisce alle dieci di sera mentre si sta recando alla
pista di pattinaggio per andare a prendere il fratello minore.
Il 12 dicembre 1974 i detective dello Stato di Waghington e quelli
dello Utah si riuniscono per fare il punto della situazione. Scorrono
i nomi di tutte le ragazze uccise o rapite entro i confini dei due
Stati, ma anche se il nome di Bundy è ormai apparso quattro volte
nell’ufficio della task force, non ci sono elementi per incriminarlo.
«Si trattava di un uomo con la fedina penale pulita e il cui curriculum
scolastico e professionale non indugeva certo a etichettarlo come
‘potenziale criminale’… Sì, si chiamava Ted e possedeva una Volkswagen.
La sua ragazza si era insospettita e aveva segnalato il suo nome alla
polizia, ma Meg era una donna estremamente gelosa…Moltissime altre
donne gelose avevano denunciato il loro uomo come possibile ‘Ted’»
(Anne Roule, op. cit).
Bundy ritorna a Seattle nel gennaio 1975 e trascorre alcuni giorni
con Meg: per l’esattezza dal 14 al 23 gennaio. Si comporta con lei
in modo molto tenero e la giovane donna pensa che i suoi sospetti
siano infondati: grazie al cielo non ha detto nulla a Ted della sua
chiacchierata con la polizia. Lui riparte promettendo di tornare a
trovarla appena possibile: progettano persino una vacanza insieme
in estate a Salt Lake City.
Meg non può immaginare che la sera dell’11 gennaio, tre giorni prima
dell’arrivo di Ted a Seattle, Caryn Campbell, una giovane infermiera,
è stata rapita all’interno di un albergo di Aspen, Colorado, dov’era
arrivata per una vacanza con il suo compagno e i due figli di lui.
Un’altra turista dichiarerà alla polizia di avere incrociato quel
giorno, in un corridoio dell’albergo, un bel ragazzo che le aveva
sorriso, ma non ci aveva fatto caso.
Altre ragazze sarebbero sparite nel Colorado durante la primavera
e l’estate del 1975. Julie Cunningham, Melanie Cooley, Shelley Robertson.
Belle, capelli lunghi con la riga in mezzo, il solito copione. E intanto
i poveri resti di varie vittime del killer venivano rinvenuti nei
boschi della Taylor Mountain, dopo il disgelo di marzo.
Il 16 agosto 1975 Ted Bundy viene fermato da un poliziotto a Salt
Lake City, per eccesso di velocità. Dall’interno della sua auto, il
vecchio Maggiolino che figura nella documentazione della polizia di
ben tre Stati – Washington, Colorado, Utah – saltano fuori un piede
di porco, un passamontagna, un rompighiaccio e delle manette. Una
perquisizione al suo appartamento porterà alla luce altri oggetti
che aiuteranno a incriminarlo.
Imprigionato e messo sotto stretta sorveglianza, sulla base di un
quadro indiziario che lo reputa l’autore dell’aggressione a Carol
DeRonch, Bundy riesce a evadere dal carcere il 30 dicembre 1977 e
raggiunge la città di Tallahassee, in Florida, dove assumerà la falsa
identità di Chris Hagen. Il 14 gennaio 1978 penetra nella sede del
gruppo studentesco Chi-Omega e massacra due ragazze nel sonno: Lisa
Levy e Margaret Bowman, di 20 e 21 anni. Altre due saranno ferite
gravemente.
L’ultima vittima è la dodicenne Kimberly Leach, che scompare da Lake
City, in Florida, il 9 febbraio 1978. Il corpo orrendamente oltraggiato
della ragazzina verrà ritrovato in un parco otto giorni dopo. Ted
l’ha convinta a salire su un’auto rubata, un furgone bianco, ma per
fortuna dei testimoni del sequestro riusciranno a prendere il numero
della targa.
Il 15 febbraio 1978 Ted viene arrestato a Pensacola dall’agente David
Lee, dopo una violenta colluttazione. Il poliziotto, che stava facendo
il terzo turno nella notte, si era insospettito vedendo un vecchio
Maggiolino arancione che si aggirava lentamente in un vicolo. Intima
l’alt al conducente che però accelera e tenta di fuggire. Segue un
inseguimento agitato, con colpi di pistola sparati in aria da Lee,
che alla fine riesce a immobilizzare Bundy e ammanettargli le mani
dietro la schiena. Senza però sapere di avere appena arrestato uno
dei criminali più ricercati dall’FBI.
Questa volta Ted non riuscirà più a sgusciare dalle maglie della Giustizia.
Tra il 1979 e il 1980 si svolge a Miami, in Florida, il processo a
Bundy, che verrà seguito dai media di tutto il mondo. Lui darà spettacolo
in aula, alternando garbati interventi da innocente ingiustamente
accusato, a scoppi di ira e minacce rivolte ai giudici, mentre di
fronte ai giornalisti si comporta come un divo di Hollywood. Tra il
pubblico siede mamma Louise, che continua difenderlo: per lei Ted
resta il suo amatissimo figlio, il suo “caro ragazzo”.
Ottenere la verità dall’imputato sarà una faccenda lunga e complicata,
con vari interventi di psichiatri e avvocati. Bundy stesso pretenderà
a tratti di difendersi da solo, forte dei suoi studi giuridici. Alla
fine confesserà di avere ucciso 26 giovani donne, mentre la Corte
lo riterrà colpevole di oltre trenta omicidi. Ma secondo Bob Keppel,
uno dei responsabili della task force del caso Bundy, Ted avrebbe
ucciso almeno un centinaio di donne.
Condannato
a morire sulla sedia elettrica - in Florida c’è la pena di morte -
Ted riuscirà a far rimandare la sua esecuzione per alcuni anni, grazie
alla straordinaria capacità di ottenere rinvii motivati dai più svariati
cavilli legali. Nel frattempo, era diventato una icona mediatica,
che continuava ad affascinare una marea di donne. Una di queste, Carole
Ann Boone, una divorziata trentaduenne madre di un ragazzo, sposerà
Ted poco prima che la giuria prendesse una decisione sulla sua condanna
a morte. Alla fine di ottobre del 1982 la neosignora Bundy darà alla
luce una bambina, Rose. «Carole portava la neonata con sé quando andava
a trovare Ted, il quale era molto fiero della propria figlia. I geni
di Ted avevano prevalso: la bambina era identica a lui» (Ann Rule,
op. cit.).
Alla vigilia della sua esecuzione Ted chiamerà la madre nel corso
della notte, per l’ultimo saluto. «In una casa piena di amici, Louise
si premette il ricevitore contro l’orecchio per ascoltare la voce
del figlio…’ Sarai sempre il mio tesoro…Vogliamo solo che tu sappia
quanto ti vogliamo bene e che continueremo a volertene» (Ann Rule,
op. cit.). Alle 7.06 del 24 gennaio 1989 Ted Bundy viene giustiziato
sulla sedia elettrica della Florida State Prison di Starke. Aveva
chiesto, tramite i suoi legali, che le sue ceneri fossero sparse sulle
Cascade Mountains, nello Stato di Washington, ma le autorità non acconsentirono
in seguito alle violente proteste dell’opinione pubblica. Nessuno
saprà mai che fine abbiano fatto le sue spoglie mortali.
giuliana.giani@fastwebnet.it
Se
il cannibale di Rostov Andrei Chikatilo (pur venendo riconosciuto
dagli psichiatri sano di mente e capace di intendere e volere) aveva
almeno la cosiddetta “faccia da mostro”, Ted Bundy era al contrario
un bellissimo uomo che non lasciava trapelare alcuna perversione o
follia. Perfino il teorico della fisiognomica criminale, Cesare Lombroso,
non avrebbe potuto trovare in lui le stigmate dell’assassino, anzi
dell’assassino seriale.
Né - a vivisezionare la sua mente - gli psichiatri che lo esaminarono
poterono scovare in lui ombra di follia, tutt’al più qualche traccia
del cosiddetto disturbo narcisistico della personalità, eccesso di
sicurezza e amore di sé che possiamo incrociare ogni giorno per strada
e al supermercato, senza dover temere per la nostra incolumità fisica.
Eppure Ted Bundy confessò 26 omicidi (solo dopo che venne arrestato)
e fu condannato per 30 assassinii di giovani donne, mentre qualcuno
arrivò ad attribuirgli addirittura un centinaio di cadaveri sulla
coscienza. Coscienza, la sua, all’apparenza nient’affatto turbata
da quanto commise, perché non mostrò mai alcun cenno di pentimento,
anzi sfidò i giudici e quanti lo condannarono perché si riteneva più
intelligente di loro e capace di prenderli per il naso. E nemmeno
una parola di pietà per le sue vittime innocenti.
L’analisi astrologica del suo tema natale non può che confermare la
diagnosi degli psichiatri: Bundy non era pazzo, e aveva un concetto
di sé altissimo. Non si può nemmeno invocare, a sua parziale giustificazione,
il fatto che fosse figlio di una ragazza madre che per molti anni
gli nascose di essere la sua vera genitrice, facendolo allevare dai
nonni. Lo stesso accadde - tanto per fare il primo esempio che mi
viene in mente - al grande attore Jack Nicholson, eppure per quel
che si sa lui non ha mai ucciso qualcuno. Avrebbe dovuto farlo? Non
scherziamo. I traumi dell’infanzia e adolescenza non fanno diventare
in automatico un killer, non importa se seriale oppure no. Bundy era
stato lasciato dalla fidanzata? A quanti è capitato, eppure non hanno
mai fatto male a una mosca. E allora?
Proviamo
ad analizzare il suo tema natale. Sagittario ascendente Leone, Ted
Bundy ha una congiunzione potentissima di Saturno e Plutone in Leone
in casa dodicesima, che gli conferiva la convinzione di avere sempre
ragione. Saturno forma un trigono con il Sole, non leso, mentre Plutone
invia un altro trigono a Luna e Marte in Sagittario, quest’ultimo
in sestile a Nettuno in Bilancia ed entrambi opposti a Urano in Gemelli
e decima casa. Urano è solo negativo, come è pure leso Giove in Scorpione,
quadrato com’è da Saturno e Giove (ma pure congiunto a Venere). Se
non sapessimo che si tratta di uno dei più famigerati serial killer
della storia criminale avremmo detto che si trattava di una persona
assai sicura di sé, probabilmente cocciuta e determinata (la congiunzione
Saturno e Plutone). Forse incapace di cogliere le buone occasioni
anche lavorative, a tratti irritabile e manipolatore e un po’ falso
e bugiardo (Urano in Gemelli leso), oppure in grado di mantenere profondi
silenzi su di sé (Giove in Scorpione leso da Plutone in Leone). Certo
un tipo riservato e geloso della propria privacy (cinque pianeti in
quarta casa) e orientato verso scelte di vita alternative (i due pianeti
in dodicesima). Un mix di luce (i pianeti in Leone e Sagittario) e
ombre (tre pianeti in Scorpione), dalla forte carica erotica (trigono
Marte e Plutone) che di tanto in tanto poteva avere qualche incidente
sessuale (l’opposizione di Marte in Sagittario a Urano nei Gemelli
può dare problemi sessuali motivati dalla precarietà del desiderio
e dalla discontinuità della tensione erotica). Ma quanti uomini conosciamo
che funzionano benissimo all’inizio di un’avventura e poi fanno cilecca
per i motivi sopra elencati? Deluderanno la partner, certo, ma se
a questo seguisse la sua brutale eliminazione, il mondo sarebbe traboccante
di cadaveri femminili.
Il Giove in Scorpione disturbato da Plutone è poi congiunto a Venere,
che in qualche modo subisce così pure lei la negatività plutonica,
amplificando al massimo la propria potenziale capacità di perversione.
Nel tema natale di Bundy non c’è traccia visibile di follia, tare,
aberrazioni varie. Eppure ha seviziato e ucciso con shockante brutalità
un numero impressionante di giovani ragazze.
Già ma che immagine aveva lui della donna?
La sua Luna è in Sagittario: cercava ragazze dai capelli lunghi al
vento, il fisico asciutto, la faccia pulita, ingenue ma anche avventurose,
ragazze che viaggiano sole, praticano l’autostop e sanno badare a
loro stesse (la congiunzione di Marte alla Luna). Il sesso era in
cima ai pensieri di Bundy, pare ovvio con una Venere in Scorpione,
ma forse non riusciva mai a cogliere l’occasione giusta, almeno dal
punto di vista sentimentale. Poteva quell’Urano solo leso rendere
problematica la sua sessualità, o distorcerla? A posteriori parrebbe
di sì, e analizzando il tema di un altro serial killer, Gerard Gallego,
anche in quel caso troviamo un aspetto negativo tra Marte e Urano,
che lo costringeva a farlo “strano”. Tanto strano da voler uccidere
le sue prede dopo il rapporto sessuale. Certo, due casi non fanno
statistica, ma prendiamo atto che sia Bundy sia Gallego avevano nel
proprio tema natale un Marte deviato da Urano. Ribadiamo però che
milioni e milioni di uomini hanno aspetti negativi tra Marte e Urano
ma non si sognano di stuprare una donna, e figuriamoci se pensano
di ucciderla. E allora? E allora?
Non c’è risposta, e non si può imputare l’aberrazione di Bundy ai
suoi tre pianeti in Scorpione. Miriadi di altre persone li possiedono,
eppure si limitano semplicemente a complicare le questioni affettive
e erotiche che li riguardano, e si fermano lì.
Come pure il bisogno di avventura, anche sessuale (Marte e Luna in
Sagittario), appartiene a tanti ma si manifesta soprattutto nel vivere
come un dono del cielo le occasioni che possono presentarsi. Andandosele
magari a cercare, perché se è vero che “aiutati che Dio ti aiuta”
il Sagittario non se ne sta certo in casa con le mani in mano, ad
aspettare che dal cielo piovano eventi eccitanti . Esempio tipico
Ted Bundy, che scorrazzava per le strade degli States alla caccia
di possibili partner. Intendiamoci, partner toccata e fuga, da brutalizzare
e uccidere, una volta esaudito il proprio desiderio animale.
Anche se non è mai stato provato, c’è inoltre il sospetto che egli
abusasse delle vittime post mortem, come potrebbe far sospettare
una potenzialmente necrofila Venere in Scorpione. Ma una persona su
dodici la possiede, e praticamente nessuno tra quelli che la possiedono
si spinge a questi estremi perversi.
Qualche esperto della psiche potrebbe ipotizzare che, uccidendo, Bundy
cancellasse anche la colpa commessa, rimuovesse dal proprio animo
il sesso peccaminoso. È possibile che la religiosissima mamma Louise
gli abbia instillato un senso del peccato così devastante? Forse,
ma il primo comandamento di ogni religione è “Non uccidere”… Se così
fosse, poi, come mai Bundy non si è affatto pentito per gli omicidi?
Non si è trattato piuttosto di eliminare la vittima delle proprie
perversioni che, se lasciata libera, ti denuncerebbe? Oppure l’uccidere
fa parte del piacere?
Il mistero del suo comportamento aberrante Ted Bundy se l’è portato
con sé nella tomba: Giove in Scorpione quadrato da Plutone non ha
rivelato un bel niente.
Se l’analisi astrologica non ha consentito di trovare un’autentica
e inconfutabile motivazione caratteriale al comportamento di Ted,
proviamo a vedere cosa accadde al momento degli omicidi. Partendo
dal primo stupro noto, commesso il 4 gennaio 1974. In questo caso
la ragazza, Joni Lenz, non morì, ma restò devastata per sempre anche
fisicamente.
I
transiti di Bundy, quel giorno, sono nettamente negativi, e stimolano
alcuni suoi pianeti natali altrettanto negativi. A cominciare da Venere
e Giove congiunti in Acquario e sesta che quadrano il Plutone leonino
e il Giove scorpionico radix. Il senso di insoddisfazione del nostro
è alto, ma chi non passa qualche momento del genere? Mercurio e Sole
in quinta casa - quella della sessualità e degli eccessi - quadrano
Nettuno, ribadendo il malumore e una qualche forma ansiosa, ma questo
capita ogni anno. Pure la Luna è in Toro e in nona casa, e forma un
aspetto negativo ancora con Plutone e Giove. Se un consultante ci
avesse chiesto che cosa gli sarebbe accaduto in quella giornata, gli
avremmo pronosticato qualche ora di turbamento emotivo, provocato
magari dal risorgere di certe frustrazioni interiori mai del tutto
risolte. Ma se uno si sente frustrato deve per forza stuprare e torturare
una ragazza?
A partire da questa aggressione, i freni inibitori di Bundy salteranno.
E iniziano gli omicidi, concentrati in circa quarantotto mesi, con
una media di sette-otto uccisioni per anno. Il primo omicidio avviene
con Marte in Toro, opposto ai pianeti di Bundy in Scorpione. La tensione
erotica altissima ha risvegliato, forse, da un lato il terrore della
castrazione implicita per il maschio nell’atto sessuale, e dall’altro
la vena di sadismo dettato anche da frustrazioni personali. Frustrazioni
tipiche di una grande massa di uomini, ma che per un Io ipertrofico
come quello di Bundy risultavano probabilmente intollerabili. Da risolvere,
allora, punendo con violenza inaudita le ragazze catturate, colpevoli
di essere donne, e tanto ingenue da fidarsi di uno sconosciuto.
La Luna in Sagittario del serial killer era infatti attratta da fanciulle
un po’ semplici, senza malizia. Per quanto riguarda gli omicidi successivi,
il detonatore sembra essere l’insieme dei transiti blandamente negativi
o positivi che andavano a stimolare alcuni suoi pianeti radix, non
importa se favorendoli o ostacolandoli. In altre parole, ogni volta
si risvegliava in Ted Bundy l’urgenza di sentirsi vivo, ma nell’unico,
terribile modo da lui conosciuto, così da poter appagare un desiderio
perverso, crudele e sanguinario.
Come in tutte le forme di dipendenza, anche la sua era difficile da
estirpare. Ma a lui non importava affatto. Così, di avventura in avventura,
di stupro in stupro, di omicidio in omicidio, Bundy fugge, evade,
cerca altre prede, ha l’illusione di poter restare impunito. Ma l’eccesso
di sicurezza, e il reiterare dei suoi macabri comportamenti seriali,
lo porteranno al momento in cui verrà definitivamente arrestato, il
15 febbraio 1978. Quel giorno Nettuno gli transita sulla Luna, opponendosi
a Urano: l’eccesso di fantasia e di irrequietudine gli fa compiere
l’imprudenza fatale: non fermarsi quando il poliziotto David Lee gli
intima l’alt. Fatale per lui, ovvio, non per le potenziali vittime
che avrebbe sicuramente continuato a cercare e a uccidere. Mercurio
in Aquario si opponeva a Plutone e quadrava Giove: segno di una momentanea
distrazione. Saturno era in prima casa: la fine di un ciclo di follia.
Transiti minimi, certo, ma troppo aveva osato e fatto Ted Bundy, e
non poteva più andare oltre. Al momento della sua esecuzione, nell’89,
Plutone aveva appena sciolto il quadrato radix con Giove: la morte
porterà via i suoi segreti, le sue colpe e le sue frustrazioni.
La sentenza del Tribunale astrologico
Non ci sono giustificazioni per Ted Bundy. Era sano di mente, intelligente,
determinato. Ha commesso i suoi orribili delitti coscientemente, per
dare sfogo ai suoi desideri perversi e alla sua virilità al tempo
stesso forte e insicura. L’infrangere il tabù estremo dell’uccidere
i propri oggetti del piacere, gli ha forse fatto credere di essere
invincibile, più scaltro e più potente degli altri. Non si sarebbe
fermato, per lui la vita era quella: torturare e uccidere giovani
donne inermi lo faceva sentire onnipotente.
Qualcuno scovi - se ci riesce - una motivazione accettabile, che rientri
sia pure a fatica nella sfera delle debolezze dell’animo umano: io,
lo confesso, non l’ho trovata.
massimomichelini1@virgilio.it
1/03/2012